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11 Maggio 2012Pubblico qui di seguito un’intervista che ho rilasciato al Secolo XIX sul tema del work addiction (dipendenza da lavoro) a cura di Isabella Faggiano.
(SECOLO XIX 09/05/12)
La rivista Scandinavian Journal of Psychology ha pubblicato il lavoro di quattro ricercatori, due dell’Università di Bergen (Norvegia) Andreassen, Pallesen, e due della Nottingham Trent University – Griffiths e Hetland – sulla validazione di una scala per la misura della dipendenza da lavoro o work addiction.
A favorire la crescita dei cosiddetti ‘workaholics’ anche gli smartphone, pc portatili e tablet forniti dalle aziende che diventano trappole per chi ha già difficoltà a staccare la spina.
Come possiamo creare “la giusta distanza” tra noi e questi accessori tecnologici?
I “benefits tecnologici” hanno proprio lo scopo di tenere legati al lavoro, con l’effetto appunto di aumentare la dipendenza. Per ottenere la “giusta distanza” potrebbe essere utile creare delle piccole violazioni al comune utilizzo che se ne fa, provando ad esempio a scegliere di lasciare il telefonino a casa, quando si è fuori da lavoro o a rimandare di 30 minuti la risposta ad una mail e una volta scaduto il tempo rispondere. In questo modo, infatti, è la persona che torna ad avere un controllo sull’oggetto e non viceversa.
Il questionario si basa su 7 domande che prevedono 5 possibilità di risposta: mai; raramente; qualche volta; spesso; sempre. Se le annotazioni ‘spessò e ‘semprè appaiono almeno 5 volte, c’è un disturbo che va affrontato.
Ecco le domande:
- Pensate a come potreste avere più tempo da dedicare al lavoro?
- Passate molto più tempo al lavoro di quanto previsto?
- Lavorate con l’obiettivo di ridurre il senso di colpa, di ansia, d’impotenza o di depressione?
- I vostri cari vi hanno già detto di ridurre il tempo dedicato al lavoro ma voi non li avete ascoltatati
- Vi sentite male o a disagio quando non potete lavorare?
- Trascurate i vostri hobby e piaceri a causa del lavoro?
- Il vostro lavoro ha ripercussioni negative sulla salute?
Se dal test si risulta lavoro- dipendenti, come e a chi chiedere aiuto?
La dipendenza da lavoro nasconde di solito dei conflitti non risolti e delle ansie che portano a lavorare compulsivamente per non pensare, quindi chiedere un aiuto psicologico può essere utile per sostituire il “piacere” che ne deriva con piaceri diversi e più funzionali (es. sport, viaggi, hobby) e per sostenere e aiutare anche i famigliari a trovare le strategie più idonee per affrontare il problema. Esistono diverse strutture che si occupano proprio di dipendenze, una di queste ad esempio è la SIIPAC di Bolzano, altrimenti qualsiasi psicoterapeuta in grado di trattare queste tipologie di problemi.
Esistono dei campanelli di allarme che posssano indicarci che stiamo “varcando il limite”?
Lo psicologo Guerreschi ha individuato un percorso a tre fasi che parte da una condizione di “normale” interesse nei confronti del proprio lavoro fino a giungere ad una vera e propria condizione di patologica e pervasiva dipendenza. Proprio come nella dipendenza dall’alcol possiamo, dunque, individuare una fase iniziale nella quale l’individuo comincia a lavorare di nascosto, dedicandosi a questo anche nelle ore fuori dall’ufficio e dove le relazioni iniziano a deteriorarsi. In questa fase non vi sono ancora visibili sintomi psichici o fisici, ma si possono evidenziare leggere depressioni, nervosismo, mal di testa e mal di stomaco; segue poi una fase critica dove la dipendenza si manifesta proprio come in un alcolista; la persona cerca scuse per lavorare anche nei giorni di riposo, non riesce a rispettare i limiti che si è autoimposta, diventa aggressiva con i colleghi. Tra i sintomi fisici vi è la pressione alta, disturbi cardiaci, e ulcera. Tra i sintomi psichici depressione.
Nell’ultima fase definita cronica, il lavoro occupa tutte le ore del giorno e i momenti liberi, andando a sconvolgere inevitabilmente la vita privata del dipendente da lavoro.
Può accadere che l’attaccamento maniacale al lavoro sia una conseguenza di un disagio sociale più complesso?
La dipendenza da lavoro, come già anticipato può nascondere difficoltà nella persona e nel rapporto che questa ha con se stessa, gli altri e con il mondo, dove il lavoro diventa una via di fuga che viene reiterato, diventando una sorta di rituale compulsivo che viene messo in atto per scacciare l’ansia, i pensieri negativi, per compensare le frustrazioni e per aumentare il proprio livello di autostima.
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