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L’importanza del gioco per un bambino
È solo un gioco. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase per indicare che, in fondo, non è niente di serio. In realtà, a ben pensare, non è possibile associare al termine giocare un aggettivo riduttivo, perché ciò che il gioco è in grado di fare nella vita di un bambino (e non solo) è qualcosa di straordinario.
Il ruolo del gioco per lo sviluppo cognitivo
Uno dei maggiori contributi in tale ambito è sicuramente quello di Jean Piaget (1945), il quale considera il gioco un elemento centrale dello sviluppo cognitivo.
In particolare, egli attribuisce al gioco un valore fondamentale nel processo di formazione del simbolo: giocando, il bambino si confronta con una realtà immaginaria che conserva una relazione con la realtà effettiva, ma, nello stesso tempo, se ne distacca. In questo modo, il bambino si esercita in un’attività mentale che consiste nel creare simboli per evocare eventi o situazioni non presenti nella realtà. Attraverso il gioco, inoltre, il bambino consolida capacità già acquisite attraverso l’esercizio e la ripetizione, e, nel frattempo, rafforza il sentimento di poter agire efficacemente nella realtà (2007).
Riprendendo la posizione di Piaget, Vygotskij (1966) ampia la visione del gioco considerandone anche le dimensioni affettive e motivazionali. In particolare, il gioco permette di affrontare la tensione tra i suoi desideri e l’impossibilità di soddisfarli. Giocando, il bambino si separa dal significato dell’oggetto reale e apre le porte al possibile, dando vita a un dei temi centrali della teoria dell’autore: la zona di sviluppo prossimale.
Il gioco per sviluppare l’autonomia
Un altro importante contributo è quello offerto da Donald Winnicott (1971), che colloca l’attività ludica in un’area intermedia di esperienza del bambino, al fine di conciliare il suo mondo interno con i vincoli della realtà esterna. Assume, quindi, un ruolo simile all’oggetto transizionale (la rassicurante “coperta di Linus”), che permette di affrontare i sentimenti di ansia connessi alla separazione dalle figure di riferimento. Giocare aiuta, dunque, ad emanciparsi in modo non traumatico dalla dipendenza materna, sviluppando l’autonomia e mantenendo una certa fiducia in una realtà positiva in grado di proteggerlo.
Giocare aiuta nella strutturazione del Sé
A sottolineare la fondamentale importanza che il gioco riveste per ognuno di noi, contribuisce anche la posizione di George Mead (1934), il quale considera l’atto del giocare l’elemento strutturante il Sé. Egli distingue due fasi: il gioco, inizialmente, si configura come “play” (gioco spontaneo), in cui il bambino assume i ruoli delle persone significative; in questa fase, il bambino non ha un sé unitario, ma vive in modo scisso i diversi ruoli che assume. A partire dai sette anni, il gioco si trasforma in “game” (gioco organizzato), in cui, giocando in gruppo secondo regole convenzionali, il bambino impara ad assumere ruoli diversi all’interno di un unico insieme organizzato di azioni e reazioni.
Alla luce di questi contributi, è meraviglioso pensare a come un’attività così semplice e naturale come il giocare di un bimbo possa racchiudere in sé una funzione così importante e decisiva per tutta la sua vita. Ovviamente, le attività ludiche cambiano e si modificano nel corso dello sviluppo, ma l’importanza che rivestono rimane fondamentale. Sulla base di questi contributi, dunque, è evidente come, al fine di favorire il benessere del bambino e, di conseguenza, del futuro adulto, è necessario sviluppare un adeguato e pratico impegno sociale in termini di creazione di spazi e infrastrutture, in grado di rispondere in maniera adeguata alle richieste ludiche dei bambini.
Approfondimenti
- Baumgartner E. (2007), Il gioco dei bambino (acquista il libro), Carocci Editore
- Mead G. (1934), Mind, self and society, Univesity of Chicago Press, Chicago
- Piaget J. (1945), La formation du symbol chez l’enfant, Delachaux et Niestlè, Neuchâtel (trad. It. La formazione del simbolo, La Nuova Italia, Firenze, 2972)
- Vygotskij L. (1966), Play and its role in the mental development of the child, in “Vosproy Psikhologii”, 12, pp. 62-76
- Winnicott D. (1971) , Playing and reality, Tavistock, London
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