Test UADI: Uso Abuso e Dipendenza da Internet
2 Febbraio 2011Stratagemma – Lasciare tutto com’è affinché qualcosa cambi
7 Febbraio 2011Sono venuto da lei perché mi ha portato mio figlio, ma tanto non serve a niente, non c’è niente da fare, è tutto finito, è tutto inutile!
Cesare esordisce con queste parole quando si presenta, a me, al primo appuntamento, per volere di suo figlio F. di 39 anni. Otto giorni prima di detto incontro F. chiede un colloquio per parlare del genitore che da otto/nove mesi non esce di casa, non parla, mangia poco ed è sempre sul letto. F. riferisce che il Signor Cesare è sempre stato un uomo attivo e molto in gamba; settantuno anni di età, coniugato da quaranta con E., cinque anni più giovane di lui, hanno avuto tre figli, due maschi e una femmina, nei primi cinque anni di matrimonio. Quando Cesare ed E. si sono sposati lui gestiva una piccola attività di ristorazione lasciatagli da suo padre. Nel corso degli anni lavorando, una media di quindici ore al giorno, Cesare, sempre aiutato da sua moglie, si è espanso nella suddetta attività tale che oggi è proprietario di tre punti di ristoro molto avviati e diversi immobili. Circa due anni fa Cesare ebbe dei fastidi cardiaci e da quel momento i suoi familiari hanno iniziato a parlare dell’opportunità di sollevarlo da tanto lavoro. Nel giro di pochi mesi la famiglia decide di formare una Società costituita dai tre figli e, contemporaneamente, di assumere essi la direzione delle attività. Da quel momento per Cesare inizia un lento e progressivo ritiro ed intristimento; il paziente perde progressivamente interesse a recarsi presso i suoi locali, ad interessarsi delle cose lamentando stanchezza e apatia.
T- Signor Cesare, che cosa è finito? Dov’è che non c’è più nulla da fare?
Il paziente resta muto per dieci minuti con gli occhi fissi sulle sue ginocchia, poi con voce roca bisbiglia: Posso andare a casa?
T- Certo che può andare a casa, ma visto che siamo qui non le andrebbe di raccontarmi un po’ di lei?
P- Sono stanco (sempre con gli occhi bassi e fissi).
T- Signor Cesare può capitare a chiunque nella vita di attraversare dei momenti difficili, momenti in cui sembra di non servire più a niente e sentirsi in un vuoto profondo, ma è solo perché leggiamo in maniera tragica certe nostre cose e allora tutto improvvisamente ci diventa penoso, però, ripeto, dipende dal nostro modo di interpretare certe cose. Cos’è che la rende così triste secondo lei?
P- Sono stanco, posso andare a casa?
T- Non dubiti, a casa ci andrà senz’altro, ma mi consenta una domanda: perché secondo lei siamo qui?
P- Non lo so, mi ha portato mio figlio.
T- Questo lo so anch’io, però dal momento che è qui non pensa che potremmo approfittarne per parlare di questo suo momento difficile? Lo sa che io mi occupo proprio di questi problemi?
P- Voglio andare a casa.
La seduta ristagna sulla passività del signor Cesare che comunque non rifiuta un successivo appuntamento. Dopo otto giorni, al secondo incontro, l’andamento della seduta si ripeteva. Al terzo appuntamento il Signor Cesare dopo che, con respiro pesante e movimenti lenti, prese posto sulla sua sedia esordì con la sua solita frase: tanto non serve a niente, non c’è più nulla da fare!
T- Eh no Signor cesare! Mi dispiace,ma la devo contraddire, perché in verità ci sarebbe da fare e come, ma non per lei! Sa, il cambiamento è un lavoro particolare che richiede impegno e certe doti intellettive quindi per quanto riguarda lei non vedo proprio delle chance!
A queste parole il paziente alza gli occhi, mi guarda e poi rabbiosamente aggiunge: ma come si permette! Ma che ne sa lei di me! Ma lo sa quello che ho combinato nella mia vita? Cosa sono stato capace di fare io!? Poi prende il soprabito e nervosamente si avvia verso la porta, apre e con un arrivederci urlato se ne va. Urraaa! Era uscito dalla depressione; c’ero riuscita! In tre sole sedute ho risolto il caso di Cesare anche se lui non lo sa ed anzi mi considera una che “della persona” non ci capisce proprio niente.
L’intervento paradossale, consistito nel confermargli drasticamente le sue presunzioni auto svalutative, ha risvegliato il suo orgoglio personale e l’amor proprio e conseguente esigenza di prendere le difese della sua persona.
Elisabetta Vellone
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