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13 Settembre 2016La psicologia penitenziaria può essere definita come quella disciplina, all’interno del vasto ambito della psicologia giuridica, che si occupa principalmente della vita organizzativa all’interno del carcere e della funzione rieducativa della pena.
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Il ruolo dello psicologo nel carcere
Da un punto di vista legislativo, lo psicologo nel carcere prende corpo con la riforma dell’Ordinamento Penitenziario avvenuta nel 1975 (legge n° 354), la quale ha introdotto “la figura dell’esperto” che può essere chiamato dall’amministrazione penitenziaria allo scopo di svolgere attività di osservazione e trattamento. E’ da sottolineare comunque che questo generico “esperto” citato nella legge n° 354 fa riferimento a molti ambiti disciplinari e non solo alla psicologia, ma anche alla criminologia, psichiatria, pedagogia e servizi sociali. Tuttavia è la figura dello psicologo che trova maggiore spazio in tale contesto proprio per la natura dell’incarico che si trova ad espletare e che fa riferimento all’individuazione del trattamento che deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto così come recita sempre l’Ordinamento Penitenziario all’articolo 13.
Quali compiti per lo psicologo nel carcere
Nello specifico lo psicologo è chiamato a effettuare una valutazione psicodiagnostica per delineare un profilo di personalità del condannato individuando una prognosi grazie all’Osservazione Scientifica della Personalità (che è uno strumento citato sempre nell’Ordinamento Penitenziario il cui scopo è quello di “poter rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale”) al fine di individuare un trattamento rieducativo volto ad una rielaborazione degli agiti devianti per poter arrivare a misure alternative alla detenzione.
Lo psicologo penitenziario però interviene anche prima che sia stata emessa una condanna come ad esempio quando è chiamato ad esprimersi sull’idoneità o meno della misura carceraria per coloro che fanno il loro ingresso in carcere.
Altro compito che svolge lo psicologo in carcere è quello di fornire aiuto e sostegno psicologico ai carcerati a scopo preventivo dal momento che la restrizione della libertà personale è vista come un possibile pericolo per la salute mentale. Bisogna poi considerare, quali altri possibili fattori di stress il problema dell’affollamento delle carceri, la presenza di diverse etnie che convivono a stretto contatto con una serie di difficoltà di ordine comunicativo e culturale.
Le difficoltà con cui deve fare i conti lo psicologo nel carcere
Il lavoro dello psicologo in tale ambito si presenta come particolarmente complesso e ricco di criticità; infatti è chiamato ad esempio a partecipare al Consiglio di Disciplina per esprimere un proprio parere su quei soggetti che hanno avuto dei comportamenti devianti in carcere al fine di decidere se sottoporli ad una successiva misura restrittiva. Questa funzione però stride con il senso del proprio compito/presenza all’interno del carcere dal momento che andrebbe ad esercitare una funzione di controllo e punitiva che poco si adatta al ruolo dello psicologo.
Un’altra difficoltà è legata all’aspetto della mancanza di corrispondenza fra il committente e l’utente. In pratica il committente (l’istituzione) richiede l’intervento psicologico per un utente che spesso e volentieri non vuole interagire con uno psicologo. L’operatore quindi si muove su un terreno minato nella costruzione di una relazione di fiducia che è la conditio sine qua non per la riuscita dell’intervento.
Lo psicologo poi si trova ad operare e a portare avanti una doppia richiesta da parte delle istituzioni: se da un lato richiedono di fornire un’attività di sostegno a salvaguardia della salute psichica, dall’altro premono maggiormente affinché lo psicologo, dopo averne indagato la personalità, arrivi a formulare una prognosi della recidiva per capire se il soggetto è idoneo o meno alla fruizione di benefici. Tuttavia quest’ultima richiesta racchiude in sé una forte componente valutativa facendo si che il soggetto assuma un ruolo passivo e non attivo con una ricaduta negativa sull’esito del trattamento stesso non essendo più egli stesso un agente attivo del proprio cambiamento.
Un’altra criticità è legata ai confini del segreto professionale che tendono a farsi più mobili dal momento che in casi particolari (tentativi di aggressioni, minacce di evasione…) possono venire meno.
Lo psicologo inoltre deve fare i conti con i tentativi di simulazione o di dissimulazione nonché di strategie manipolatorie del soggetto messe in atto per ottenere benefici.
Come costruire un rapporto di fiducia fin dal principio con l’utenza
Lo psicologo in carcere si trova quindi ad operare su più fronti che vanno dalla tutela del benessere psicofisico del condannato ad una sua valutazione in termini di recidiva e sicurezza sociale in caso di misure alternative, nonchè in un compito prettamente di giudizio e di punizione che poco si adatta alla figura dello psicologo.
Risulta fondamentale, proprio per la particolarità del setting e delle criticità sopra esposte informare dettagliatamente l’utente del proprio ruolo, compiti e limiti nei quali si opera al fine di stabilire una relazione basata sulla fiducia e per rendere fruttuosi i vari trattamenti che si mettono in atto.
A cura della dott.ssa Mara Giani e dott.ssa Chiara Cicchese
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