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12 Aprile 2011Anoressia e bulimia sono disturbi che celano un profondo disagio interiore e non, come spesso erroneamente si crede, un problema dell’appetito. Si rivela pertanto necessario affrontare queste patologie attraverso un percorso di cura personalizzato che conduca la persona a comprendere le ragioni più latenti della propria sofferenza.
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Il compito dello psicoterapeuta nel disturbo alimentare
Il psicoterapeuta può essere un valido aiuto per chi soffre di disturbi alimentari offrendo, già dal primo incontro, uno spazio di ascolto che le permetta di guardarsi dentro, di interrogarsi sulla propria sofferenza e comprendere le ragioni profonde del suo “mal di vivere”. La presa di coscienza del significato del sintomo, di una verità rimossa, rappresenta, secondo Recalcati, il punto di svolta per la trasformazione della domanda di aiuto in una vera domanda di terapia, mossa da un autentico desiderio di cambiamento. Spesso infatti, nella clinica anoressico-bulimica, la domanda, più o meno esplicita, espressa dal soggetto sintomatico (situazione questa più unica che rara) tende ad una reciprocità collusiva, e pertanto non può dirsi una vera domanda di cura. Impresa ardua del terapeuta consiste nel riuscire a non cedere alla trappola collusiva del paziente, non cedere alla sua domanda impossibile, una domanda, quella che si riscontra frequentemente nella clinica anoressico-bulimica, spesso troppo debole, quasi “assente”; una domanda profonda che non si esaurisce in una richiesta di aiuto, né è legata alla richiesta dell’oggetto-cibo. Si tratta, piuttosto, di un’autentica ed insaziabile domanda d’amore. Strumento privilegiato per accogliere l’unicità della persona e della sua singolarità enigmatica è l’ascolto attivo, che si propone come uno spazio protetto di cui il soggetto necessita per poter formulare, attraverso il linguaggio, la propria domanda di cura, nonché per riuscire a trovare le parole giuste che gli consentano di esprimere, probabilmente per la prima volta, il proprio dramma, finora manifestatosi soltanto attraverso il linguaggio del suo corpo.
Il trattamento del disturbo alimentare
In genere, il trattamento prevede una prima fase di colloqui preliminari con uno psicologo, che hanno una funzione conoscitiva e diagnostica, e permettono di individuare il percorso di cura più adeguato alle esigenze del paziente, a cui segue la fase terapeutica in senso stretto, che può assumere la struttura di un trattamento individuale o di una terapia di gruppo.
Entro la prospettiva psicodinamica, il piccolo gruppo monosintomatico è stato proposto quale strumento d’elezione per il trattamento e la cura dei disordini del comportamento alimentare. Esso si organizza sulla risonanza emotiva del sentirsi simili tra i simili e sul riconoscimento del ruolo di sostegno dell’identità attuato dal disturbo alimentare. Nel gruppo diventa gradualmente possibile fare esperienza di una condivisione emotiva dove trovano spazio i ritmi individuali. La fragilità della propria identità e le drammatiche esperienze non ancora elaborate diventano così “digeribili” collettivamente; il gruppo facilita la creazione di nuovi legami e soprattutto l’elaborazione di tutti quei vissuti traumatici che hanno costellato la storia personale (e spesso anche familiare) di ogni paziente, favorendo la co-costruzione di un’unità psicosomatica, mentre man mano si consolidano aspetti del Sé che permettono di vivere il legame con l’altro in modo diverso. Come sostiene la fondatrice dell’ABA, Fabiola De Clercq “…nei gruppi può finalmente circolare la parola. La possibilità di confrontarsi e riconoscersi in altre storie promuove la voglia di ritrovarsi per condividere ancora emozioni e vissuti mai espressi.”
Il ruolo della famiglia nel disturbo alimentare
Particolarmente significativo è inoltre il percorso con le famiglie, dal momento che la clinica anoressico-bulimica non può prescindere dall’analisi delle relazioni familiari, spesso problematiche, e di tutti quei vissuti laceranti che hanno segnato la storia di una data famiglia e che spesso sono a fondamento del disagio della paziente. Dar voce alla sofferenza fornendo ascolto attivo e contenimento emotivo significa dunque tentare di restituire al soggetto il ruolo di protagonista della propria vita.
Bibliografia
- De Clercq F., Prefazione a La cura nei gruppi in ABA. Elementi di teoria e di clinica. Franco Angeli Editore, Milano, 1997.
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