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Siamo tutti consapevoli del fatto che la nostra società è cambiata profondamente rispetto al passato.
Tra le moltissime novità che caratterizzano il “nostro tempo”, sicuramente la tecnologia è quella che più ci riguarda in modo indistinto e universale.
Indice contenuti
Riflessioni introduttive
Oggi cosa rappresenta lo Smartphone per noi
Siamo immersi e in un certo senso guidati da strumenti tecnologici che ci aiutano nella vita di tutti i giorni e che ci accompagnano nelle nostre giornate.
Lo Smartphone, ad esempio, ha rivoluzionato il nostro modo di concepire il cellulare.
Se prima questo serviva, prevalentemente, a telefonare e ad essere reperibili anche fuori casa, oggi è diventato un vero alleato di tutti i giorni.
Basti pensare al fatto che ogni azione ormai è possibile semplicemente toccando lo schermo e avendo una connessione ad internet.
Lo Smartphone, insomma, ha ormai ha sostituito, o quasi, anche il computer: si può navigare sul web, ascoltare musica, consultare documenti, prenotare al ristorante o un viaggio, fare videochiamate.
Oggi possiamo addirittura lavorare tramite uno Smartphone
Tutto ciò è sicuramente innovativo e ha superato di gran lunga la nostra immaginazione.
Nonostante tutti i lati positivi che la tecnologia ha sulla vita di ciascuno di noi, molti ricercatori hanno cercato di studiare e comprendere gli effetti che essa ha, ad esempio, sui bambini.
I più piccoli, infatti, sperimentano questo “innovativo mondo tecnologico” sin da quando vengono al Mondo tanto che spesso ci si chiede se ciò sia un bene o se possa anche avere degli effetti negativi.
Un fenomeno nuovo che è stato osservato non è soltanto quello che vede la tecnologia rapportata ai più piccoli quando sono loro stessi ad usarla, ma anche quando sono i genitori a farlo: questo fenomeno è noto come “phubbing”.
Ne avete mai sentito parlare?
In questo articolo parleremo proprio del phubbing: cercheremo di capire cosa sia, quali sono i meccanismi alla base e quali sono gli effetti sui più piccoli.
Phubbing: così presente, quanto sconosciuto
Oggi il termine phubbing non è molto noto in quanto si tratta di un fenomeno relativamente nuovo e recente. Nonostante ciò, con buonissime probabilità, avete osservato, subito oppure agito.
Di cosa stiamo parlando?
Il termine phubbing nasce dalla fusione di due parole ossia “phone” che, appunto, significa telefono cellulare e “snubbing” che ha il significato di snobbare.
Tale termine indica proprio la tendenza a snobbare il proprio interlocutore, durante una conversazione o durante il tempo condiviso, per guardare o consultare il proprio Smartphone.
Insomma, il centro della conversazione non è più lo scambio reciproco tra le due persone, ma diviene più importante stare col proprio smartphone e fare ciò che si vuole come consultare i social, messaggiare, giocare e così via.
Quindi l’altro, in un certo senso, viene proprio snobbato.
A tal proposito Luca Pancani, psicologo sociale, afferma che:
“Il phubbing è un fenomeno che si caratterizza a tutti gli effetti come forma di esclusione sociale, in particolare di ostracismo, ossia essere ignorati, diventare invisibili e sentirsi non esistenti in un dato contesto.”
Un fenomeno che ormai è davvero molto frequente: quante volte vi sarà capitato di osservare due partner o due amici ad un tavolo e vedere che ognuno, o solo uno di essi, trascorrere il proprio tempo col cellulare invece che chiacchierare e condividere qualcosa con l’altro?
Questa è una delle scene più tristi, eppure assistiamo di frequente a tutto questo, tanto che ormai è diventata quasi un’abitudine o qualcosa di normale ritrovarci in queste situazioni.
Studi sul phubbing
Sembra essere presente qualche ricerca che ne ha studiato le dinamiche e gli effetti e proprio da questi ha avuto origine il termine phubbing.
Tra le ricerche più accreditate vi è quella dell’Università del Kent che poi è stata pubblicata sulla rivista Journal of Applied Social Psychology.
Cosa si è andato a studiare?
Questa ricerca è stata condotta su un campione di ben 153 studenti universitari, quindi in fase giovanile.
Questi studenti, in pratica, dovevano osservare e analizzare una scena, che sarebbe durata circa 3 minuti, e che avrebbe coinvolto due persone in interazione tra loro.
Ai soggetti in questione è stato chiesto di identificarsi con uno dei due interlocutori e, in seguito, sono stati assegnati, casualmente, ad una delle tre condizioni.
Le diverse scene, infatti, si caratterizzavano proprio per un ordine crescente di livello di phubbing: nessun phubbing, leggero phubbing oppure phubbing elevato.
Cosa è emerso da questo studio?
Da questo studio è emerso che, all’aumentare del livello di phubbing, gli studenti dichiaravano che la relazione era peggiore e insoddisfacente: effettivamente si sentivano poco coinvolti nell’interazione con l’interlocutore.
Da ciò poi è stato coniato il termine phubbing, il quale è stato definito come un vero e proprio “fenomeno di esclusione sociale”.
E, come ogni fenomeno di esclusione, anche il phubbing ha effetti negativi in chi lo subisce.
Tra questi abbiamo la minaccia alla propria autostima, al proprio senso di appartenenza e quindi una minaccia per il proprio benessere psicologico generale.
Phubbing in ambito familiare
Il fenomeno del phubbing è stato studiato nell’ambito delle interazioni tra due adulti o tra due adolescenti.
Nel corso del tempo, però, è stato osservato che esso si manifesta anche nell’ambito familiare sia per quanto riguarda le relazioni simmetriche tra i due coniugi, ma anche nelle relazioni “asimmetriche” e che quindi coinvolgono un adulto e il proprio figlio.
Questo fenomeno del tutto nuovo è stato studiato in una ricerca condotta dall’Università di Milano Bicocca ed è stato pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships.
Cosa si è indagato?
In questo studio, nello specifico, è stato indagato il fenomeno nella relazione genitoriale.
Il gruppo dei ricercatori ha infatti sviluppato il primo questionario in grado di misurare il phubbing che i figli subiscono da parte dei loro genitori, sia dalla madre che dal padre.
Questo questionario ha permesso successivamente di raccogliere dati su un campione molto ampio di circa 3000 adolescenti con un’età compresa tra i 15 e i 16 anni.
Cosa ha permesso di osservare questo studio?
La ricerca ha confermato i dati raccolti anche nelle altre ricerche e ha dimostrato che gli adolescenti con genitori che praticavano con frequenza phubbing si sentivano maggiormente esclusi, ignorati dai propri genitori e soprattutto si sentivano meno “vicini ad essi”.
Insomma avere un genitore perennemente “incollato allo smartphone” sembra peggiorare notevolmente il rapporto che si crea con lui perché, appunto, il figlio si sente poco coinvolto.
Sicuramente tutto ciò è deducibile dalle ricerche precedenti, ma ciò che stupisce maggiormente è proprio il fatto che tutto questo avviene all’interno di una relazione significativa come quella genitore-figlio.
Pur essendo un fenomeno particolarmente interessante e da tenere sotto controllo in ogni tipo di relazione, nell’ambito della relazione genitoriale diviene ancor più pericoloso.
Perché la relazione genitoriale è di fondamentale importanza per lo sviluppo dei figli
Questo è vero, soprattutto quando i bambini sono molto piccoli e quindi totalmente dipendenti dai propri genitori per le funzioni biologiche e fisiologiche.
Pensiamo, per esempio, al bisogno di essere nutriti: questo è cruciale anche quando il figlio diviene più grande e adolescente.
In queste fasi della vita i bisogni sono “meno evidenti”, ma sono comunque di cruciale importanza per un sano sviluppo psicologico.
Parliamo del bisogno di essere amati, del bisogno di essere consolati di fronte ad una difficoltà o di essere incoraggiati.
Soprattutto del bisogno che il genitore sia responsivo e attento a ciò che il figlio gli sta comunicando.
È proprio questo che risulta importante.
Effetti del phubbing sui figli
Ma nel fenomeno del phubbing tutto ciò viene meno perché il genitore è più attento allo smartphone e a ciò che succede in un “mondo distante da Sé”, senza accorgersi dei bisogni del proprio figlio e non riuscendo a rispondervi adeguatamente.
Nei casi di phubbing nella relazione genitoriale, quindi, il figlio potrà sentirsi poco capito, compreso, incluso.
Tutto ciò determinerà una vera e propria distanza fisica ed emotiva che porterà ad effetti negativi sulla propria autostima, sul proprio senso di appartenenza e sul proprio benessere psicologico.
Questo è vero anche perché il phubbing in questa relazione è molto frequente e poi non bisogna trascurare il fatto che il figlio non può evitarlo o ignorarlo.
Se, per esempio nelle relazioni simmetriche ci accorgiamo che il nostro interlocutore ci sta snobbando possiamo benissimo decidere di andare via e di non rivederlo più.
Questo sicuramente non può accadere o comunque è più difficile che accada nel caso di un genitore perché, appunto, è una relazione necessaria e inevitabile.
Consigli anti-phubbing
Avendo mostrato cosa sia il phubbing e gli effetti che questo fenomeno può avere su chi lo subisce, potremmo chiederci: “cosa si può fare in questi casi?”
E soprattutto, cosa si può fare quando questo fenomeno si manifesta nell’ambito familiare?
Vediamo qui di seguito qualche consiglio pratico che potrebbe aiutarvi a superare questi eventi.
Diamoci delle regole: primo consiglio da seguire
Come più volte abbiamo affermato, il fenomeno del phubbing è sicuramente molto recente e innovativo e, quindi, non è ancora regolato da norme socialmente universali.
Insomma, tutti sappiamo come ci si comporta a tavola o come ci si comporta in caso di nuove conoscenze.
Ma se parliamo della questione smartphone la cosa cambia, poiché è ancora un tabù per molti.
Un buon consiglio e una buona pratica da seguire soprattutto nell’ambito familiare, consiste nel provare a darsi delle semplici regole che tutti devono seguire, anche i “più grandi”. Soprattutto i più grandi.
In questi casi potrebbe essere utile cercare di creare queste regole di comune accordo tra genitori e figli, in uno scambio reciproco che non escluda nessuno.
Ad esempio si potrebbe stabilire una regola che riguarda l’uso dello smartphone a cena o durante i momenti di condivisione.
Ovvero si potrebbe decidere di lasciarlo in un’altra stanza, anche con il silenzioso, affinché non crei disturbo, nel caso in cui qualcuno decida di chiamarvi.
Inoltre potrebbe anche essere utile “limitare” il tempo da dedicare allo smartphone quando si è a casa, in generale, nelle ore restanti.
Usare delle applicazioni “detox”: ulteriore consiglio da seguire
Se pensate di essere gli unici ad avere “problemi di dipendenza” da smartphone, consolatevi sapendo che non è così.
Sono presenti, infatti, molte modalità che possono consentirvi di limitare l’utilizzo dello Smartphone.
Ad esempio ci sono applicazioni che silenziano le notifiche o che bloccano i social.
Tutto ciò sicuramente vi aiuterà a limitare il suo utilizzo eccessivo.
Di seguito un video di una collega psicologia, Simona Lauri, che spiega come disintossicarsi dai dispositivi tecnologici.
Provare a guarire attraverso la consapevolezza
Si può cercare di guarire, provando ad allenare la propria consapevolezza circa il fatto che possiamo poter perdere l’opportunità di godere di diversi rapporti o relazioni.
Per riuscire in questo scopo, dunque, non dobbiamo dimenticare che è importante dare attenzioni anche a ciò e a chi è fisicamente vicino a noi.
Questo può essere fatto solo se riusciamo ad utilizzare questi strumenti con coscienza e giudizio.
Il mondo virtuale sicuramente può attirare la nostra attenzione, ma non lasciamoci “coinvolgere” totalmente da esso.
Riferimenti
- https://www.psicologiacontemporanea.it/blog/il-phubbing-cose-e-come-ci-fa-male/
- https://www.nostrofiglio.it/bambino/psicologia/phubbing
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