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25 Febbraio 2016Tra gli incarichi che uno psicologo può trovarsi a ricoprire in ambito giuridico, quello della valutazione peritale riguardo al danno non-patrimoniale è certamente uno dei più complicati e che richiede maggiormente al professionista di abbandonare un’ottica clinica e rispondere ad esigenze di natura giuridica.
Diventa, infatti, immediatamente evidente come, questo settore specifico, al complesso e delicato lavoro valutativo e della formulazione di una diagnosi psicologica corretta, deve seguire anche la capacità da parte del consulente di fornire risposte, chiare e comunicabili, a domande che non sono di natura clinica, ma vengono poste dall’autorità giudiziaria e sono quindi di natura prettamente valutativa.
Il perito psicologo può essere chiamato ad una valutazione per quanto riguarda danni di natura strettamente non-patrimoniale: danno biologico di natura psichica, danno esistenziale e danno morale sono, nel dettaglio, le tre categorie di danno che richiedono una competenza specificatamente psicologica per essere valutate. Definire le tre categorie di danno come separate ed indipendenti non è stato un compito facile e non è del tutto concluso. Addentrarsi in una disanima della natura di queste categorie esula dallo scopo di questo breve articolo, ci bastino in questa sede le definizioni che vengono attribuite a ciascuna categoria.
Indice contenuti
Danno biologico
Fa riferimento alla lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. Il danno psichico rientra in questa categoria.
Danno morale
E’ la sofferenza soggettiva cagionata da fatto illecito e in sé considerato, di regola un reato, sofferenza che può essere sia di natura transitoria, sia di natura permanente.
Danno esistenziale
Qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana, quale ad esempio la lesione della serenità familiare, o del godimento di un ambiente salubre, distinto dal danno biologico perché non presuppone l’esistenza di una lesione fisica, e distinto dal danno morale perché non costituisce una sofferenza di tipo soggettivo.
Il ruolo dello psicologo
Il lavoro dello psicologo nelle perizie in questo specifico contesto, si riassume principalmente nell’attivazione di un attento processo diagnostico, che deve arrivare ad evidenziare e delineare, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, una differenza tra il “prima” ed il “dopo” un determinato evento traumatico; questo iter ha lo scopo di accertare che il fatto lesivo oggetto di causa abbia effettivamente compromesso il precedente equilibrio psicologico della persona lesa.
Si deve quindi stabilire un nesso causale tra la situazione oggetto di valutazione e l’evento lesivo che ha avuto luogo.
Iter della perizia
Per raggiungere un tale obiettivo è necessario coniugare quindi una raccolta anamnestica, anche attraverso fonti diverse come referti medici, conoscenti e familiari, che possa delineare chiaramente il funzionamento della persona prima del fatto lesivo ad un’attenta analisi e diagnostica del danneggiato. Non è sufficiente però che siano presenti compromissioni psicologiche dell’individuo, ma queste devono essere di natura tale da essere giustificabili dall’evento traumatico che è avvenuto.
Gli strumenti di indagine che risultano maggiormente utili a questo scopo sono il colloquio, che sarà di natura e modalità diverse da quello clinico, e l’utilizzo di test specifici che possano fornire informazioni utili sulla condizione in cui versa il soggetto.
Differenze tra colloquio peritale e colloquio clinico
A differenza di un contesto clinico, il colloquio condotto all’interno di una valutazione del danno ha l’obiettivo di raccogliere un gran numero di informazioni in un tempo ridotto, in modo da delineare con efficacia lo stato psicologico e relazionale del danneggiato, sia nel tempo presente che prima dell’evento; ciò fa si che lo stile del perito debba essere necessariamente direttivo e orientato, in misura maggiore rispetto ad un contesto clinico.
Inoltre il numero di persone presenti durante il colloquio sarà sicuramente maggiore e il luogo dove esso viene condotto, potrà essere notevolmente diverso rispetto al setting clinico più comune (ad esempio in una casa di riposo o in un ospedale, per citarne alcuni).
Con questi vincoli la costruzione di un legame di fiducia è di difficile attuazione e richiede un particolare sforzo da parte del perito; questo deve però essere comunque il primo obiettivo di un colloquio in ambito peritale dato che pone le basi per un indagine approfondita e accurata.
L’utilità dei test in ambito peritale
I test psicologici sono strumenti che caratterizzano la professione di psicologo e nelle consulenze rappresentano una parte importante, del più ampio e complesso lavoro di inquadramento psicodiagnostico di un eventuale danno alla persona. È utile sottolineare come non sia possibile ne sufficiente fondare i propri risultati esclusivamente sui risultati ottenuti dalla somministrazione dei test, ma questi vadano integrati nel più ampio lavoro peritale.
Il loro buon utilizzo anche nelle perizie, da parte degli psicologi, è, comunque, un valido aiuto nella formulazione della diagnosi, sia per la loro capacità di fornire un utile contributo nel differenziare i fattori di origine organica da quelli di natura psicogena, ma anche per la loro capacità, in questo campo utilissima, di evidenziare eventuali tentativi di simulazione o enfatizzazioni dei sintomi, eventualità non rare in questo ambito.
Ad esempio alcuni test sono particolarmente utili nell’indagare se in un individuo con trauma cranico, che manifesti anche una sintomatologia di tipo depressivo sia a livello cognitivo che a livello comportamentale (scala WAIS indice di deterioramento cognitivo, Rorschach, MMPI-2), sia o meno presente un quadro di tipo demenziale, oppure un tentativo di simulazione o esagerazione dei sintomi, che hanno l’obiettivo di ottenere un riconoscimento economico maggiormente consistente.
Non bisogna infatti dimenticare il particolare ambito in cui lo psicologo sta effettuando la propria valutazione, in cui l’esigenza da parte degli individui di vedere riconosciuto il danno ricevuto, e di ottenere un risarcimento di natura economica fonda la motivazione per l’intero percorso valutativo. Risultano quindi estremamente utili tutti quegli strumenti e test che abbiano la possibilità di individuare tentativi di manipolazione, anche involontari, o che ne siano influenzati in misura minore; come i test proiettivi o i maggiori test di personalità, andrebbero dunque evitati o utilizzati con cautela i questionari self report facilmente manipolabili proprio per la modalità di somministrazione(come il Beck Depression Inventory).
Va inoltre combattuta l’utilizzazione dei test e dei loro risultati da parte di professionisti, o meno, che non hanno né una specifica conoscenza, né sappia interpretarli e contestualizzarli efficacemente nel contesto specifico e secondo le finalità proprie del contesto giudiziario (valutativo e non clinico), evidenziandone le potenzialità a livello diagnostico, ma anche i limiti e i margini di errore che sono necessariamente insiti in un processo valutativo.
Come quantificare il danno
A conclusione dell’iter valutativo emerge un ulteriore problema: la quantificazione del danno subito dall’individuo. Proprio per le caratteristiche del danno psichico è estremamente difficile quantificare l’effettiva limitazione che la persona soffre, a seguito del danno ricevuto, nella propria vita. Non ci si può quindi limitare alla formulazione di una diagnosi, per quanto accurata e seguendo i criteri e accortezze sopracitate, ma occorre valutare quanto incide sul funzionamento dell’individuo nelle sue aree di vita principali.
Questo è un problema non da poco dato che è influenzato grandemente da caratteristiche soggettive e slegato, invece, dalla semplice gravità della diagnosi (disturbi “lievi” possono causare un disagio significativamente maggiore dei cosiddetti disturbi “gravi” a seconda del contesto).
Il percorso di valutazione psicologica del danno è quindi molto complesso e richiede una particolare attenzione da parte del perito, oltre che una competenza specifica sia in campo clinico che in quello giuridico.
A cura della dott.ssa Giani, Cicchese e Lombardi
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