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13 Luglio 2019Perdere un figlio può rappresentare un momento di grande impotenza, qualcosa più grande di noi, alla quale non sappiamo dare un senso o un significato.
Sì, perché ognuno di noi nel corso della propria vita si ritrova a dover affrontare la morte di una persona cara: un padre, una madre o un nonno. Ma perdere un figlio, per molti, è qualcosa di innaturale e mai nessuno può dire di essere davvero preparato o pronto per affrontare un evento così straziante, soprattutto se è un genitore a perdere un figlio piccolo. Qui di seguito vedremo cosa significhi perdere un figlio e quali meccanismi entrano in gioco, ma soprattutto cosa occorre fare per riuscire ad andare avanti con la propria vita, nonostante una perdita di tale portata.La morte di un figlio
La morte di un figlio è il dolore più grande per un genitore
Silvia Vegetti Finzi
Per molti genitori presuppone infatti anche la propria di morte: perché è così che ci si sente. Come dei sopravvissuti, in un pozzo buio, da cui è difficile riuscire a uscire. Ci si sente traditi, vuoti, impotenti.
Riflettiamo un attimo. Quando un bimbo perde una madre o un padre, viene definito orfano. Quando una donna o un uomo perdono i loro compagni, sono definiti “vedovi“. Ma quando una madre perde un figlio? In tal caso, non esiste un nome o una parola in italiano, come anche in altre lingue, che sia in grado di indicare questa condizione per cui una madre o un padre si ritrovano a perdere un figlio.
Una condizione questa che da molti viene definita essere una “tragedia“, poiché comporta un dolore immenso, indescrivibile e incomparabile.
Come dicono anche gli esperti, perdere un figlio, sia esso bambino o adulto, è la tragedia più grande che possa colpire la vita di una persona.
Lo conferma anche lo psicologo Nicola Salvadori, il quale afferma come “l’elaborazione del lutto sia generalmente un processo complesso che riguarda ogni situazione di perdita di un caro, malo è tanto più tristemente quando a fronteggiare la perdita si trova un genitore con il proprio figlio”.
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Lutto fisiologico o patologico?
Affrontare il lutto per la morte di un figlio, può essere davvero difficile, quindi.
Poiché all’inizio è naturale cercare di negare l’accaduto, ma come afferma Cristina Riva Crugnola, “dopo un momento di lutto intenso e inevitabile, nell’arco di uno o due anni, bisognerebbe arrivare a stare meglio, altrimenti, è possibile che il lutto diventi patologico e allora la situazione potrebbe precipitare”.
Oltre ad un lutto fisiologico, caratterizzato dall’elaborazione di specifiche fasi che vanno da uno stordimento iniziale, fino a sperimentare rabbia, depressione, tristezza e infine accettazione della perdita, possiamo trovarci in presenza anche di un lutto patologico complicato, che si manifesta quando vi è una difficoltà ad accettarne la sua ineluttabilità quando tale situazione emotiva superai 12 mesi, assumendo connotazioni psicopatologiche.
Da quanto appena detto si evince come il lutto patologico sia quel lutto in cui le varie fasi che ne caratterizzano una corretta elaborazione diventano cicliche, poiché non gestite bene.
Anche il restare congelati per troppo tempo in una delle prime fasi può portare ad una condizione di questo tipo.
Basti pensare a quelle persone che trascorrono anni nella fase di depressione, per evitare di sperimentare la fase successiva, che invece implica il riprendere in mano la propria vita e, quindi il dover provare un senso di colpa nei confronti di chi non c’è più.
In quanti di voi possono dire di non conoscere quella madre o quel padre che non si sono mai ripresi dalla morte di un figlio e che continuano a vivere ancora oggi in uno stato di depressione? Bene, sono proprio questi i casi di lutto mal elaborato: i casi di un lutto irrisolto che può anche essere invalidante.
Fattori che influenzano l’elaborazione del lutto di un figlio
Elaborare il lutto per la morte di un figlio, oltre a non essere un processo semplice, è anche un qualcosa di molto soggettivo, poiché la capacità di riuscire a gestire una perdita di tale portata può dipendere da diverse circostanze.
Bisogna considerare se la morte arriva dopo una lunga malattia o se è improvvisa (in tal caso siamo in presenza di un lutto traumatico), poiché questo può incidere sulla capacità di recupero.
A tal proposito, vi sono altri fattori da tenere in considerazione.
Vediamoli qui di seguito:
- Caratteristiche personali di madre e padre: il modo in cui il dolore viene elaborato è diverso da soggetto a soggetto, ma soprattutto da madre a padre. Come afferma Vegetti Finzi, sembrerebbe infatti da alcune testimonianze, che “le donne riescano a sopportare meglio questo tipo di dolore”, forse perché sono loro a dare la vita ai loro figli. In questi casi è importante dunque supportare gli uomini, poiché, anche se apparentemente sembrano essere più forti, risultano avere meno risorse per affrontare un tale evento.
- La rappresentazione del proprio figlio: risulta difficile elaborare il lutto di un figlio, se i genitori hanno effettuato su di lui un investimento narcisistico, ovvero se il figlio arriva a rappresentare una proiezione delle loro aspettative, elaborarne il lutto significa solo perdere una parte di se stessi. Come spiega Cristina Riva Crugnola, “hanno più risorse per affrontare tale situazione i genitori che hanno fatto un investimento oggettuale nei confronti del bambino”. Ovvero quei genitori che ne rispettano l’individualità e l’autonomia.
- La presenza di interessi sociali: un altro fattore che risulta essere cruciale è la presenza di una rete sociale solida: se i genitori sono riusciti nel corso della loro vita a preservare i loro interessi, senza puntare tutto sulla vita del figlio, riusciranno a fronteggiare meglio la loro perdita. Soprattutto perché in tale situazione avranno anche il suo supporto. “Se non esiste una rete di supporto, sarà più facile cadere nella trappola della solitudine, della rassegnazione, della depressione che condurranno ad un lutto irrisolto”, afferma la dr.ssa Eleonora Strappato.
- La presenza di altri figli: anche la presenza di altri figli può poter rappresentare un ulteriore fattore, che può incidere sulla capacità di fronteggiare tal perdita, poiché possono aiutare i loro genitori ad affrontare questo evento, in quanto maggiormente motivati a riprendersi, per dare loro tutta la serenità che meritano. “La mamma infatti può continuare nell’accudimento e nella crescita degli altri suoi figli, il che risulta essere un impegno che la sostiene psicologicamente” spiega il pedagogista Daniele Novara.
Bisogna fare attenzione però a non caricarli del nostro dolore e a capire cosa provano, poiché spesso il figlio che resta, può ritrovarsi a farei conti con una vera e propria sindrome: la sindrome del sopravvissuto, uno stato emotivo spesso sottovalutato dai genitori stessi. “Il sopravvissuto tende a chiedersi i motivi per cui è stato risparmiato dalla morte, attivando un senso di colpa che raramente riesce a esprimere e che agisce nel corso della vita nella logica dell’espiazione, mettendosi ripetutamente in situazioni o di pericolo o eccentriche” continua Novara. - Relazione conflittuale con il figlio: qualora la relazione con il figlio non fosse stata delle migliori, poiché caratterizzata da conflitti e dissapori, il conseguente senso di colpa dei genitori, derivante dal rimpianto di non averlo amato come era doveroso fare, potrebbe rendere difficoltoso il processo di elaborazione del lutto.
- Relazione di coppia: se un tale lutto arriva a colpire una coppia dove la relazione funziona, il rapporto diretto tra i due partner può fungere da strumento di supporto, utile a superare al meglio questo evento. Al contrario, se il rapporto non ha basi solide, il tutto può solo essere che deleterio.
- L’età dei genitori: il momento in cui avviene questo grande lutto incide molto sulle capacità di ripresa. “Più i genitori sono in là con l’età e più sarà difficile affrontarlo e superarlo, perché avranno meno risorse e speranza nel futuro» afferma a tal proposito, Cristina Riva Crugnola.
- L’età del bambino: anche l’età del figlio che viene a mancare gioca un ruolo importante per quanto riguarda la possibilità di recupero del lutto. Generalmente la sofferenza per la perdita di un figlio è maggiore quando questo è ancora un bambino piccolo.
A tal proposito, vediamo meglio cosa comporti perdere un figlio piccolo o un figlio adulto, cercando di capire le varie dinamiche che vengono a crearsi.
La morte di un figlio piccolo
Perdere un figlio molto piccolo comporta un dolore immane. “Il dolore è quasi fisico: è il nostro stesso corpo che si lacera”, commenta Cristina Riva Crugnola. Questo perché il legame esistente tra un bambino e i suoi genitori è altrettanto forte e viscerale: i bambini molto piccoli infatti dipendono totalmente dai loro genitori, per poter sopravvivere.
Per non parlar del fatto che “se i bambini sono piccoli, è facile che i genitori abbiano un investimento narcisistico su di loro, dal momento che la loro individualità non si è ancora pienamente formata”, aggiunge la professoressa Crugnola. E ciò non può che rendere l’accettazione e l’elaborazione del lutto ancora più difficoltosa.
Tale dolore tende ad essere maggiormente forte, nel caso in cui la causa di tale perdita sia accidentale o ambigua: ovvero, in quei casi in cui si nutre una profonda ingiustizia che spesso si manifesta con continui interrogativi, circa il senso della vita.
Comportamenti tipici
Il non saper e voler accettare che il proprio figlio abbia vissuto poco del tempo che invece avrebbe dovuto vivere e la consapevolezza di aver investito le proprie energie per un figlio che è stato portato via troppo presto, può portare i genitori ad mettere in atto degli specifici comportamenti per sentirlo ancora accanto.
Tra questi abbiamo:
- il continuare a svegliarsi la notte per sentire se il bambino piange;
- il conservare ancora i suoi abiti o lasciare la sua stanza così com’era;
- l’incapacità di spostarsi o cambiare casa, per paura di perdere definitivamente il bambino, che si spera ancora possa tornare;
- il frequentare spesso il luogo della sepoltura (sembrerebbe che siano maggiormente le madri a metter in atto tale comportamento)
A tal proposito, la psicologa Vegetti Finzi, afferma come sia “molto importante dar forme simboliche di riparazione al nostro dolore, recandoci al cimitero e portando dei fiori al defunto, perché si deve sostare nel dolore per poterlo superare”.
Ma cosa comporta perdere un figlio piccolo sui genitori e sulla coppia?
Conseguenze della morte di un figlio piccolo
A seguito della morte di un figlio molto piccolo, le madri possono sentirsi responsabili dell’accaduto e le emozioni dei padri possono risultare molto confuse, poiché pur provando un immenso dolore, si ritrovano spesso a doverlo reprimere, per poter supportare la moglie.
Ciò non può che portar gli uomini ad essere “incapaci” di parlare con le donne dell’accaduto: di conseguenza le donne poi arrivano a lamentare tale incapacità.
Tutto questo porta a delle importanti ripercussioni, poiché tali incomprensioni possono arrivare a destabilizzare il loro rapporto di coppia.
Secondo diversi studi, in alcune coppie perdere un figlio contribuisce proprio a questo: al divorzio, anche se spesso il rapporto che si viene a rompere in tale circostanza, risultava avere già delle crepe.
Cosa implica invece la morte di un figlio adulto?
La morte di un figlio adulto
Nel caso di morte di un figlio adulto, la perdita assume un valore differente, ma pur sempre doloroso. Poiché nonostante il figlio sia adulto e un soggetto indipendente, la sua perdita può essere molto difficile da accettare, sia per la relazione costruita fino a quel momento che per ciò che si sarebbe potuto costruire in futuro.
Perdere un figlio, “è un’esperienza talmente devastante che toglie il senso della vita a chi l’ha sperimentata”, spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Una tale perdita implica infatti una particolare forma di dolore, poiché, non solo i genitori si ritrovano a chiedersi se siano stati davvero abbastanza protettivi e presenti, ma soprattutto perché si verifica tendenzialmente in un momento della vita in cui non è possibile avere un altro figlio, per via dell’età dei genitori.
E questo per chi ha avuto solo un figlio, non può che essere davvero straziante.
Cosa può comportare la perdita di un figlio adulto?
Conseguenze della morte del figlio adulto
A seguito della morte di un figlio adulto i genitori possono arrivare ad avere pensieri ricorrenti che riguardano il proprio figlio, arrivando a:
- pensare senza tregua ai dettagli del tragico evento;
- pensare spesso alla brevità della vita del figlio;
- chiedersi costantemente perché è successo a loro, cosa significhi tutto questo, come sia possibile continuare a vivere;
- cercare costantemente il proprio figlio negli altri: nei gesti e nelle abitudini degli altri;
- proiettare la sua immagine nel futuro, per cercare di “vedere”come sarebbe potuto diventare. Cosa che invece non accade se si è perso un bambino, poiché anche solo pochi mesi dopo la sua morte, si scopre che è difficile immaginarlo.
- sentirsi in colpa per il fatto stesso che continuano ancora a vivere, nonostante abbiano perso quel loro figlio pieno di impegni e aspettative. Dal momento che la morte ha portato via tutto questo, i genitori si sentono quasi in dovere di vivere discretamente, soprattutto se si è avuta una relazione conflittuale con quest’ultimo o se è morto per cause particolari come il suicidio;
- vivere in due mondi separati: quello reale e quello immaginario, dove il figlio scomparso è percepito come più vicino;
- avere un attaccamento patologico con il figlio che non c’è più: il che può portare i genitori ad avere una relazione altrettanto “patologica” con gli altri figli, poiché piena di aspettative e richieste.
Ciò non può che essere deleterio per loro e per la relazione con loro, poiché il tutto non può che finire per tramutarsi in un’ulteriore senso di colpa nei confronti degli altri figli.
Ma quindi, a prescindere se si tratti di un figlio piccolo o di un figlio adulto, come si manifesta tale perdita?
Perdere un figlio: sentimenti e atti tipici
Una recente ricerca ha constatato che molte persone accettano la morte di una persona cara sin dall’inizio e che risentono più della mancanza dell’individuo perduto che dei sentimenti di rabbia o depressione. Generalmente, il dolore derivante dalla perdita di un figlio, che può perdurare per anni, si manifesta però attraverso:
- tachicardia
- forte sudorazione
- capogiri
- emicranie
- sentimenti di angoscia
- inquietudine
- panico e ansia
- rabbia nei confronti di Dio, del fato e della vita stessa
Chi credeva di avere fede, spesso, perde fiducia in Dio, poiché il dolore interiore può provocare:
- una ribellione nei suoi confronti, poiché ritenuto responsabile della propria perdita;
- problemi dal punto di vista affettivo sociale e psicologico, anche a distanza di anni dalla perdita;
- alti livelli di ansia e depressione, se non correttamente elaborata la perdita.
Secondo alcuni studi sono maggiormente le donne a soffrirne, dopo tale evento di:
- difficoltà nello svolgere le normali attività quotidiane;
- pianti improvvisi e incontrollati;
- problemi di sonno e di alimentazione: non si dorme abbastanza o si dorme troppo; stessa cosa vale per il cibo;
- disinteressamento alla propria salute e alla cura di sé;
- uno stato confusionale, dominata da un senso di smarrimento.
La sofferenza può essere così acuta che chi la sperimenta può:
- cercare di controllare e nascondere le proprie emozioni o scegliere di esternarle;
- parlarne sempre o non farlo affatto;
- desiderare la solitudine o compagnia;
- esporre mille foto in casa del figlio o allontanarle dalla propria vista;
- scegliere di riprendere la propria vita, subito.
Seppur questo possa sembrare indice di forza e coraggio, può solo essere un modo alternativo per negare l’accaduto, una sorta di meccanismo di difesa che non può che avere delle ripercussioni successivamente, poiché il dolore, prima o poi non potrà che farsi sentire, non essendo stato correttamente elaborato.
Cosa resta quando si perde un figlio?
Da quanto detto si evince quanto complesso possa essere affrontare un evento di questo genere. Tuttavia, secondo alcune testimonianze, ho potuto constatare come siano altrettanto tanti i genitori ad aver riportato dei grandi e positivi cambiamenti, soprattutto nelle relazioni interpersonali, nonostante abbiano subito un lutto di tale portata.
Alcuni genitori che hanno perso un figlio, dopo tale esperienza hanno affermato di:
- aver capito il vero valore del tempo e della vita;
- di aver un maggior compassione e comprensione per chi come loro, ha subito una tale perdita;
- di aver riportato un miglioramento nella vita matrimoniale e familiare;
- di essere maggiormente capaci nel risolvere situazioni conflittuali o problemi di salute;
- di essere maggiormente empatici con i problemi altrui.
Consigli per affrontare la morte di un figlio
Come abbiamo visto perdere un figlio comporta davvero tanto e a seguito di tale esperienza spesso si perde il significato della propria vita. Sebbene tale perdita tocchi profondamente i genitori, è necessario riuscire a trovare un modo per andare avanti.
Per far ciò è importante:
- Accetta il dolore e cerca di aver fiducia nel tempo. La prima cosa da tener presente è proprio questa: accettare i sentimenti. Non hai forse il diritto di provarli? Se senti di essere invaso/a dalla rabbia, dolore, paura, non allontanarle. Se hai bisogno di piangere, fallo. Solo accettando le emozioni riuscirai ad andare avanti. Non darti quindi scadenze.
- Accetta l’apatia. Non preoccuparti se durante il processo di elaborazione del lutto, dovesse capitarti di sentirti apatico/a. E’ una naturale reazione del tuo corpo che cerca di proteggerti da ciò che è accaduto. Con il tempo, piano piano, riuscirai a superare anche questa sensazione: secondo alcuni studiosi, questa comincia a svanire dopo il primo anniversario della perdita.
- Prenditi cura di te. Nel corso di tale processo, cerca di essere gentile con te stesso/a e di volerti bene. Resisti alla tentazione di addossarti le colpe, poiché non dipende tutto dal nostro controllo: non possiamo decidere noi per la vita di qualcun altro, anche se questo è nostro figlio. Secondo diversi scienziati, perdere un figlio ha gli stessi effetti di un grande danno fisico.
- Cerca di riposare. Aiutati magari con delle tisane, o attraverso degli esercizi o ancora con un bel bagno caldo che potrebbe stimolare il sonno.
- Evita di prendere decisioni significative nell’immediato. Prima di prendere qualsiasi decisione, aspetta almeno un anno. Se per esempio hai deciso di cambiare città o di lasciare il tuo partner, esita dal farlo davvero, per avere la giusta lucidità che tali scelte meritano. In questi casi, l’impulso può giocare brutti scherzi, ma non farti trascinare da esso. Se non ti senti pronto/a per tornar a lavoro, non farlo solo per paura di essere licenziato/a. Ma cerca di trovare una soluzione con il tuo datore di lavoro. “Quando muore qualcuno che amiamo, si perde la capacità di concentrazione e focalizzazione” (Friedman). E questo è stato confermato anche da alcuni studi svolti negli USA, che dimostrano come le aziende perdano circa 225 miliardi di dollari ogni anno, per via delle sofferenze post-trauma dei dipendenti. Questo vuol dire che se un lutto non viene ben elaborato, i dipendenti avranno serie difficoltà e non riusciranno ad essere efficienti e produttivi, a discapito di tutta l’azienda.
- Onora la memoria di tu figlio. Cerca di tener viva la memoria di tuo figlio, dedicando quotidianamente una parte della giornata al suo ricordo. Quando ti senti pronto/a, riunisciti con le altre persone che più ami e ricordate insieme i bei ricordi di tuo figlio.
- Unisciti a chi ha vissuto un’esperienza simile. Prova a fondare o a partecipare come volontario/a ad associazioni di genitori che hanno vissuto lo stesso problema. Contribuisci a progetti che riguardano altri bambini o altri “figli”, che sono venuti a mancare precocemente. L’amore per il proprio figlio diviene un amore universale, in questo modo, afferma la psicologa Silvia Vegetti Finzi.
- Cerca un aiuto esterno. Se ritieni di non riuscire a superare da solo/a questo grande dolore, parlane con dei professionisti della salute. Uno psicologo psicoterapeuta può aiutarti ad esprimere tutte le emozioni e i pensieri e a collocare il passato nel passato (non per dimenticare, come spesso si cerca di fare), ma per ritrovare le risorse necessarie per continuare ad andare avanti.
- Partecipare a un gruppo sul lutto. Utile per non sentirsi soli con la sofferenza, per affrontare il dolore e raccontare la propria storia, senza sentirsi giudicati.
Cose da non fare quando si perde un figlio
E’ sconsigliatissimo in questi casi:
- Bere alcolici o usare droghe. Bere alcolici o usare droghe, anche leggere, per dimenticare, può portare ad un consumo eccessivo che può trasformarsi in dipendenza, contribuendo ad aggravare la situazione;
- Fare un secondo figlio subito dopo: non serve cercare di rimpiazzare il figlio perduto con un altro: “Sarebbe invece meglio aspettare, anche per evitare di traumatizzare il nuovo nato affidandogli il compito gravoso di colmare l’ombra del fratello deceduto” (Vegetti Finzi). Perché l’elaborazione di questo lutto, richiede molto tempo e tanto impegno.
Riferimenti bibliografici
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- Crugnola, C, R, La relazione genitore-bambino tra adeguatezza e rischio, Il mulino.
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- In salita, con lui: Riflessioni di una madre dopo la morte di un figlio.
- Modalità elaborative della coppia che si confronta con la perdita di un figlio, di Luigi Colusso.
- Un ponte sopra le maree: il difficile cammino di una madre che ha perso il figlio, di Luciana Orsatti.
- Forest P., Per tutta la notte, Alet, 2006.
- Forest P., Tutti i bambini tranne uno, Alet, 2007.
- Forest P., Sarinagara, Alet, 2008.
- Paudice G., Orfana di mia figlia, Ed.Paoline, 2002.
- Smith, C.R. (1990) Vicino alla morte.Guida al lavoro sociale con i morenti e i familiari in lutto, Trento, Centro Studo Erickson.
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