Sintomi psicotici presenti nei bambini maltrattati e/o abusati
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13 Maggio 2011Indice contenuti
Abusi e psicosi
La relazione rilevata tra abusi nell’infanzia e sviluppo di sintomi psicotici in età adulta si ritrova in diversi quadri diagnostici, tra cui il disturbo bipolare, il disturbo post traumatico, i disturbi dissociativi d’identità, ma, soprattutto, nella schizofrenia. Quest’ultima è definita come un “disturbo complesso, multiforme e variamente sotto-articolato” (Sanavio & Cornoldi, 2001), in cui è richiesta la presenza di almeno due tra i sintomi positivi e negativi di natura psicotica, che comportano un grave deterioramento di una o più delle principali aree di vita del soggetto, come il lavoro, le relazioni interpersonali e la cura di sé.
Il legame tra maltrattamento e schizofrenia
Nella schizofrenia sia i sintomi psicotici che quelli non psicotici risultano essere legati a traumi infantili, ma la relazione più significativa è quella riscontrata coi sintomi positivi, quali:
- allucinazioni
- ideazioni paranoidi
- inserimenti di pensiero
- deliri di lettura della mente
- idee di riferimento
- voci di commento
Soggetti maltrattati durante l’infanzia, infatti, risultano mostrare più spesso sintomi schizofrenici rispetto a coloro che non hanno subito violenze, e iniziano a mostrare i primi sintomi già in giovane età.
Si sa ancora relativamente poco sulla relazione tra il maltrattamento nell’infanzia e il corso di sviluppo, la presentazione clinica e le funzioni cognitive dei soggetti con disturbo dello spettro della schizofrenia. Si tratta di un campo molto interessante, in quanto molti dei sintomi psichiatrici e deficit cognitivi osservati in individui con storia di abusi durante l’infanzia sono sovrapponibili con quelli riportati da soggetti schizofrenici: non solo la sintomatologia psicotica, ma anche deficit di apprendimento verbale e memoria, memoria di lavoro, memoria a breve termine, attenzione, concentrazione, e funzioni esecutive. Due risultano essere le proposte eziologiche maggiormente accreditate: il primo concepisce il percorso di sviluppo della schizofrenia primariamente di natura endogena, sostenuto da fattori biologici, e accompagnato da sintomi prevalentemente negativi, mentre il secondo potrebbe essere principalmente guidato da eventi traumatici di natura psicosociale durante l’infanzia ed essere accompagnato da un maggior numero di sintomi positivi.
Vi è largo consenso che la natura eziologica della schizofrenia sia in gran parte genetica, ma viene sottolineata anche l’importanza fondamentale dei fattori ambientali (Suddath, Christison, Torrey, Casanova & Weinberger, 1990), tra cui, appunto, l’abuso in età infantile, in accordo con gli attuali modelli eziologici multifattoriali della schizofrenia (Tienari & Wynne, 1994).
Molti autori concordano nel ritenere che la schizofrenia è un disordine endogeno biomedico, ma le prove a sostegno di questa tesi non sono ancora decisive. Per molti adulti a cui è stata diagnosticata la schizofrenia, gravi eventi stressanti o significative deprivazioni possono non solo attivare sintomi schizofrenici, ma possono anche, se avvengono in età precoce e sono sufficientemente severi, effettivamente causare o contribuire a uno sviluppo di anomalie cerebrali, che stanno alla base del disturbo stesso.
Modelli a confronto
Un modello largamente accettato per spiegare il disturbo della schizofrenia è il modello “diatesi-stress” (Walker & Diforio., 1997), caratterizzato per abbracciare un approccio “bio-psico-sociale”, il quale implica un’integrazione tra i dati dei diversi paradigmi; esso, però, considerando la diatesi come una predisposizione genetica specifica per questa diagnosi, si è assistito a una riduzione degli studi sui fattori psicosociali appartenenti alla componente stressogena del modello. Questa tendenza è evidentemente incoerente con il modello “vulnerabilità-stress” della schizofrenia (Zubin & Spring, 1997), il quale sosteneva che, in aggiunta a qualsiasi vulnerabilità genetica ereditata, è possibile acquisire un’ulteriore vulnerabilità, causata da eventi, quali traumi, specifiche malattie, complicazioni perinatali, esperienze familiari, interazioni tra pari in adolescenza, e altri eventi avversi.
Gli autori che hanno proposto il modello “diatesi- stress”, invece, sostengono che non è vero che i soggetti con diagnosi di schizofrenia siano stati esposti a sproporzionate quantità di stress, ma semplicemente si assiste a una risposta eccessiva di questi soggetti allo stress subito; coerentemente con ciò, molti autori sono portati a sostenere che ciò che viene ereditato è questa eccessiva sensibilità o vulnerabilità di fronte agli eventi stressogeni.
Il modello “diatesi-stress”, con la sua insistenza che la diatesi di psicosi è prevalentemente, se non esclusivamente, genetica, non ha ancora prodotto un’integrazione bilanciata nella letteratura per quanto riguarda il trauma, inclusi traumi cerebrali (accidentali o intenzionali), trascuratezza, perdite, deprivazioni e abusi sessuali. In effetti, attualmente questo modello non integra fattori biologici, psicologici e sociali, perché in esso la fondamentale causa dei fenomeni psicotici considerata è di natura biologica e unidirezionale: il genoma anomalo produce uno “squilibrio chimico” che causa la formazione dei sintomi. Curiosamente, il modello “diatesi-stress” richiede un assunto che molti dei suoi sostenitori vorrebbero rigettare: se lo stress è rilevante, dev’essere vero che gli eventi negativi dell’ambiente psicosociale possono attivare il gene o i geni per lo sviluppo della schizofrenia. Se questo è vero, allora si deve prendere seriamente in considerazione la possibilità che il contributo dell’ambiente psicosociale può disattivare i geni e, di conseguenza, inibire il fenotipo.
Conclusioni
Tutt’oggi, non è stata data una risposta certa a questa discussione, ma nella maggior parte delle teorie si tende a sostenere un’eziologia multifattoriale, che comprende una componente genetica e una ambientale. Capire se le esperienze traumatiche occupano un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei sintomi psicotici è fondamentale soprattutto dal punto di vista del trattamento: se vi è un nesso tra questi sintomi e certi tipi di esperienze è bene organizzare il processo terapeutico tenendo in considerazione questa relazione.
Bibliografia
- Sanavio E. & Cornoldi C. (a cura di) (2001). Psicologia Clinica. Il Mulino, Bologna.
- Suddath, R., Christison, G., Torrey, E., Casanova, M. & Weinberger, D. (1990), Anatomical abnormalities in the brains of monozygotic twins discordant for schizophrenia, New England Journal of Medicine, 322, 789–794.
- Tienari, P. & Wynne, L. (1994). Adoption studies of schizophrenia, Annals of Medicine, 26, 233–237.
- Walker, E., & Diforio, D. (1997), Schizophrenia: A neural diathesis-stress model, Psychological Review, 104, 667–685.
- Zubin, J. & Spring, B. (1997), Vulnerability—A new view of schizophrenia, Journal of Abnormal Psychology, 86, 103–126.
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