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25 Marzo 2013La riflessione sull’umiltà mi ha catturata da tempo. Questa – vogliamo chiamarla virtù? Qualità? – sembra essere spesso fraintesa nel suo significato più profondo. Trovo utile, quindi, fare subito un chiarimento: umile non è chi si svaluta o sottovaluta, né chi si mostra o appare fragile, dimesso, ritirato, poco coraggioso o audace nei sogni e negli obiettivi che vuole raggiungere.
Insomma, si può stare ben eretti con la schiena diritta ed essere umili: le due cose non fanno a pugni. Iris Murdoch lo riassume splendidamente: “L’umiltà non è la strana abitudine ad avere scarsa considerazione di se stesso, quanto l’avere una voce impercettibile. È un rispetto non egocentrico per la realtà”.
L’umiltà è l’attitudine di vivere facendo esperienza di tutto quello che c’è fuori di noi, nel mondo, con ammirazione e stupore. È il vedere noi stessi come una piccola parte in un insieme più vasto, abitato da persone e creature dalle quali possiamo imparare, sempre. Il nostro Galileo disse: “Non ho mai conosciuto uomo così ignorante da non aver nulla da insegnarmi”.
La persona umile può esser conscia del proprio valore, mentre dà valore agli altri. Sa esprimere ciò che pensa e che desidera in maniera forte e decisa, rimanendo capace di ascolto e rispetto per l’altro.
L’umiltà è una forza calma. C’è una particolare dignità nelle persone sinceramente umili. Anche se sono persone di successo e importanti hanno la saggezza e l’esperienza necessaria per comprendere i loro limiti e il valore altrui. Molti personaggi nella storia hanno messo in luce la qualità dell’umiltà. Questa non è stata un ostacolo nel portare a termine ciò che hanno realizzato nella vita. Al contrario, è stata una fonte di forza, che ha permesso loro di ricevere rispetto e poter offrire maggiore ispirazione alle persone con cui sono venute in contatto.
Una persona dotata di umiltà riesce a vedere al di là del proprio punto di vista o interesse. È ben radicata in sé stessa e, allo stesso tempo, sa andare oltre se stessa. Ha l’intelligenza di riconoscere che siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri e che ognuno ha un ruolo unico, e a volte inaspettato, da svolgere. Che tutto quello di cui abbiamo bisogno ci arriva da una rete di collegamenti che attraversa tutto il pianeta. Che tutti dipendiamo, per la nostra esistenza, dal sostegno pratico ed emotivo di altre persone. Essere coscienti di questo vuol dire essere in contatto con la realtà e smettere di considerarci delle isole. Smettere di badare solo al nostro orticello. L’umiltà sposta la nostra prospettiva da “me” a “gli altri”, e lo fa con gioia.
L’umiltà è un movimento orizzontale, non verticale: mi faccio di lato per fare posto all’altro, a lui, al suo bisogno, alla sua richiesta, al suo sapere, alla sua opinione. Io e l’altro siamo vicini e allo stesso livello, entrambi utili, importanti e preziosi, ognuno con le sue peculiarità.
Nel lavoro come nella vita privata, la complessità che ci circonda rende sempre più importante chiedere consigli e informazioni a chi ha più esperienza di noi. La persona umile riesce a non sentirsi, per questo, sminuita o minacciata. Al contrario, chi è orgoglioso potrebbe non chiedere e quindi non ricevere l’aiuto di cui ha bisogno. Quando crediamo di essere superiori agli altri o non riconosciamo i nostri limiti (o li viviamo con una sensazione di fallimento) perdiamo la capacità di ascoltare. Un detto tibetano paragona l’uomo orgoglioso ad una tazza rovesciata: non lascia entrare nulla e non può quindi essere riempita.
L’orgoglio è una protezione: più strati di orgoglio aggiungiamo, più diventiamo rigidi, distaccati dagli altri e sconnessi dalla nostra vera natura. A volte una tragedia personale, come una malattia o la perdita di una persona cara, riesce a spezzare la corazza di protezione che ci siamo costruiti addosso. L’umiltà può nascere in noi quando le nostre difese vengono strappate via, quando la vita si dimostra poco gentile.
Ma l’umiltà può essere anche coltivata, con una scelta consapevole. Riusciamo ad essere umili quando non ci sentiamo più minacciati né giudicati, quando non abbiamo bisogno di proteggerci né di impressionare nessuno: in sostanza, quando l’Altro è amico, pari, alleato. L’umiltà ci consente di ammettere che siamo impauriti e vulnerabili, che non sempre vediamo le cose in modo corretto e che non sempre sappiamo cosa fare. In modo misterioso, questo crea le condizioni per l’accettazione di sé e la calma interiore. Cose straordinarie possono derivare da questa fiducia gentile.
L’umiltà è un punto di partenza: come possiamo crescere ed evolvere se pensiamo di non avere nulla da imparare?
Vi propongo alcuni spunti per riflettere su quanto coltiviamo l’umiltà nel nostro quotidiano e su come possiamo praticarla un po’ di più:
- Quando una persona cerca di parlarci, ci capita di continuare a fare quello che stavamo facendo, come cucinare, leggere il giornale o lavorare al computer? La prossima volta che succede interrompiamo quello che stiamo facendo, guardiamo la persona negli occhi e diamole ascolto e attenzione.
- Al termine della giornata annotiamo una cosa nuova che abbiamo imparato e da chi l’abbiamo imparata.
- Quando ci capita di entrare in una stanza piena di gente, come ad una festa, ad una riunione di lavoro, o nella sala d’attesa del medico, può succederci di muovere i nostri passi con una certa ansia, sentendoci tutti gli sguardi addosso. Spostiamo, invece, il nostro riflettore da noi a loro, le persone presenti nella stanza. Anziché entrare con il pensiero “Eccomi qui” (sotto testo “vi piacerò? Vado bene così?”), entriamo pensando “Eccovi qui!”, con un interesse sincero per le loro unicità e punti di vista.
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