Ansia e realtà virtuale
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4 Agosto 2010Ipocondria: la malattia dell’interpretazione.
A volte basta un semplice mal di testa per entrare in crisi, dando inizio a una collezione di visite ed esami. Ma cosa si cela dietro la paura di ammalarsi?
L’ipocondria viene inserita nel DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders Fourth Edition) nella categoria dei disturbi somatoformi, e viene descritta come la preoccupazione eccessiva per il proprio stato di salute o la convinzione di avere una malattia grave.
Indice contenuti
La diagnosi di ipocondria
Per diagnosticare questo disturbo, la persona deve mostrare questa preoccupazione per almeno sei mesi, causando una menomazione nella sfera lavorativa sociale e familiare.
Infine, ma non per ordine di importanza, il soggetto non può essere rassicurato nonostante gli esami clinici e le continue visite mediche confutano l’ipotesi di malattia.
Possiamo descrivere l’ipocondria come una malattia al confine tra il somatico e lo psichico, la quale età di esordio è compresa tra i 20 e i 30 anni.
La relazione medico – paziente (ipocondriaco)
Il rapporto tra l’ipocondriaco e il medico è sicuramente basato su processi di idealizzazione e svalutazione. Inizialmente il paziente sembra fidarsi ciecamente del medico, ripone in lui ogni speranza di guarigione, ma quando l’altro non conferma la malattia che si è auto-diagnosticato lo svaluta ritenendolo incompetente e poco comprensivo del suo malessere.
Questo atteggiamento contrastante non farà che suscitare nel medico irritazione, sentendosi offeso nella sua competenza professionale e anche impotente perché non riesce a collocare i sintomi del paziente in una delle malattie da lui conosciute.
Il discorso che ne consegue è quindi alquanto paradossale: più il medico cerca di convincere il paziente che sta bene e che le sue preoccupazioni sono infondate, più il paziente vorrà dimostrargli che la sua strada è sbagliata innescando così un meccanismo senza fine in cui le due persone non arriveranno mai ad un punto di incontro.
Possiamo immaginare come se la malattia rappresentasse una barriera per l’ipocondriaco e privarlo di questa significherebbe spogliarlo della sua onnipotenza ed esporlo al pericolo della realtà. La svalutazione del medico dipende anche dal fatto che l’ipocondriaco rivive in questa figura l’autorità genitoriale odiata perché assente psichicamente.
De Vanna, Cauzer e Marchiori (2003) espongono i comportamenti che il medico utilizza per difendersi dal “paziente indesiderato”:
- Condividere con il paziente il senso di impotenza per non farsi carico dei suoi problemi, alimentando, però, il perpetuarsi del sintomo.
- Avere sempre fretta per evitare l’incontro con il paziente o rimandarlo a successive visite o ulteriori esami che sono assolutamente inutili.
- Mostrarsi aggressivi, ostili e freddi (l’aggressività dipende anche dall’identificazione proiettiva che il paziente utilizza nella relazione con l’altro).
Anche se a volte è difficile, il medico che ha a che fare con un paziente che soffre di ipocondria dovrebbe evitare ogni difesa sopra elencata per adottare un atteggiamento empatico, che prima di tutto escluda la possibile presenza di una malattia, e che aiuti il paziente a trovare l’aiuto e il supporto di uno psicologo.
Questo modo di agire aiuterebbe non solo il paziente in quanto troverebbe una soluzione al suo malessere emotivo e affettivo, ma anche il medico che si salverebbe dalla frammentazione delle cure e dall’impersonalizzazione di cui viene accusato dal paziente ipocondriaco. Una comunicazione empatica ha come scopo l’accettazione dell’individuo come persona nei suoi aspetti biologici ed emotivi ribadendo la necessità di dedicare maggiore attenzione agli aspetti relazionali nella pratica medica.
Profilo psicologico dell’ipocondriaco
Il soggetto ipocondriaco appare egoista, infatti l’altro conta solo nella misura in cui consente di soddisfare i propri bisogni e desideri; è completamente avulso da ogni questione che non riguarda il proprio corpo, si libera da ogni responsabilità (crede che siano gli altri a dover “fare tutto per lui”), e questo stato interferisce anche con le proprie prestazioni causando molte assenze dal lavoro.
Il comportamento tipico di un paziente ipocondriaco, non psicotico, è quello di una persona che si prende eccessivamente cura del proprio corpo, spesso con cure “fai-da-te”, non ascolta nessuno giacché sempre attento a parlare dei propri problemi in ogni occasione.
La convinzione di essere malato lo porta ad adottare comportamenti di malattia, quindi esce poco, non si espone a climi estremi, non fa sforzi eccessivi, causando una menomazione delle attività quotidiane.
Con il suo malessere cerca di attirare l’attenzione dell’altro come un bambino che piange per richiamare la madre.
A livello psichico si osserva ideazione patologica, introspezione, bassa autostima, introversione e poca espansività che porta il soggetto a vivere spesso nell’isolamento sociale.
Ipocondria e rassicurazioni
L’ipocondria, non è altro che la convinzione che all’interno del nostro corpo ci sia una grave malattia. A differenza della paranoia classica in cui si ha la percezione che il mondo esterno abbia qualcosa contro di noi, nell’ipocondria è il corpo che vuole abbattere se stesso, con l’obiettivo dell’autodistruzione.
Molto spesso un male, e a volte anche grave, che spinge chi soffre di questa patologia, a controllare in modo esasperato i sintomi.
Oltre alle richieste a parenti e amici, sono frequenti infatti le continue visite mediche, che oltre ad essere molto costose, richiedono un enorme dispendi di energie, sia al soggetto interessato che a coloro che gli stanno accanto.
La particolarità dell’ipocondria consiste proprio nel fatto che paradossalmente, più i medici non trovano riscontro a livello organico, più la persona sente il bisogno di rivolgersi a qualcun altro, che sia più esperto e in grado di “riconoscere” il problema che porta dentro.
Cosa a accade a livello del pensiero?
In genere, chi soffre di ipocondria, tende ad “ascoltarsi” (internamente) e può capitare, mentre si ascolta, di percepire dei segnali poco chiari provenienti dal proprio corpo. Inizia così a sperimentare la paura per qualcosa che sente, ma che non vede e a concentrarsi sempre più, in maniera quasi ossessiva, prestando attenzione a tutti i “rumori interni” alla ricerca però di un “silenzio interno” e “chi cerca trova”.
Un pò come succede nella favola zen del millepiedi: “C’era una volta un millepiedi viveva felice un giorno incontrò la rana e la rana gli chiese: – Come fai a mettere i piedi uno davanti all’altro senza inciampare?- Il millepiedi ci pensò e da quel momento non fu più in grado di camminare“.
Decorso dell’ipocondria
Il decorso dell’ipocondria è cronico e la comorbilità con disturbi d’ansia, depressivi e ossessivo-compulsivi, fa in modo che è difficile diagnosticare l’ipocondria come disturbo cardine della persona, ma non impossibile. Si possono, infatti, distinguere due ipocondrie, una primaria e l’altra secondaria. Quella primaria si connota per il fatto che il disturbo si presenta indipendentemente da un altro, quella secondaria “accompagna” un altro disturbo psichiatrico e spesso la prognosi è positiva.
Ipocondria e patofobia: quali differenze
E’ opportuno fare una differenza tra ipocondria e patofobia. Nel primo caso, infatti, vi è un timore di aver contratto una malattia, un continuo ascolto e una ricerca di qualsiasi segnale proveniente dal proprio corpo che possa indicare una minima alterazione. La fobia, in questo caso è verso ogni tipo di malattia, in particolar modo verso quelle lente e progressive che comportano una sofferenza prolungata.
Controlla, ma sente di non avere il controllo, la malattia diviene così una certezza. A volte si arrende, ma con effetti depressivi.
Tra le “tentate soluzioni” che la persona mette in atto abbiamo:
- Controllo dei sintomi;
- Consulenze specialistiche;
- Richiesta d’aiuto;
- Ne parla e/o si informa;
- Si arrende e/o si deprime.
Nella patofobia, invece, è presente una paura di morire a causa di una patologia specifica o malfunzionamento di un organo (es. infarto). La fobia è relativa soprattutto a malattie che causano morti improvvise, folgoranti.
Controlla e tenta di tenere a bada, combatte ossessivamente, è sempre in lotta. Può capitare, inoltre, che il patofobico si senta lì per lì rassicurato, ma che dopo poco ritorni ad esser spaventato.
Tra le “tentate soluzioni” che la persona mette in atto abbiamo:
- Controllo delle variazioni fisiologiche (es. battito cuore, pressione)
- Cerca di scacciare il pensiero e/o non fa esami per timore dell’esito
- Richiesta d’aiuto e/o rassicurazione
- Ne parla
- Combatte
Ipocondria: alcune teorie
Le teorie psicoanalitiche ci hanno regalato delle importanti riflessioni sulle cause del disturbo ipocondriaco.
Per esempio la psicoanalista tedesca Nissen Bernd (2003) seguendo il gruppo di lavoro “Ipocondria e Isteria” suggerisce le seguenti cause:
- Gravi esperienze di separazioni soprattutto dalla madre.
- Quando la madre c’era, veniva percepita come psichicamente assente.
- Presenza di una madre ambivalente che spesso cambiava atteggiamento senza un reale motivo (da affettuosa diventava severa e rifiutante).
- Spesso i pazienti si sentono “risucchiati” dalla madre con un senso claustrofobico; le madri li fanno partecipi di ogni loro problema anche di tipo sessuale con il loro marito.
La Nissen, inoltre, descrive l’identikit del padre del paziente che soffre di ipocondria. Esso appare:
- Psichicamente o realmente assente.
- Sono percepiti, dal sistema familiare, come deboli e incompetenti.
- Le madri lo hanno costantemente svalutato sia come coniuge sia come figura genitoriale.
Inoltre studi epidemiologici mostrano come bambini con genitori malati sono soggetti a rischio nello sviluppo di una malattia psicosomatica. La preoccupazione per una grave malattia dipende dall’identificazione con questo genitore malato, trovando nel sintomo ipocondriaco i tratti di una punizione che placa i sentimenti di colpa.
Nonostante il valore che le teorie psicoanalitiche hanno sulla spiegazione dell’ipocondria, dobbiamo però riconoscere che attualmente sono le terapie a breve termine ad essere riconosciute come trattamento idoneo per questo disturbo.
Ad oggi il modello dell’interpretazione e della cura dell’ipocondria si basa prevalentemente sul modello cognitivo di Paul M. Salkovskis.
In determinate situazioni, come ansia, aspettative, depressione, il soggetto è più predisposto a prestare attenzione alle sensazioni provenienti dal proprio corpo attribuendogli un significato di malattia (somatic amplification).
Salkovskis (1989; 2001) mette a punto un modello cognitivo che guarda all’ipocondria come ad un disturbo simile all’attacco di panico, solo che si differenzia da quest’ultimo per la conseguenza temuta.
Mentre nel disturbo di panico a essere temuta è la percezione di morte imminente e di catastrofe, nel disturbo ipocondriaco è temuta la morte con sofferenze atroci che si potrebbe verificare in un momento futuro e impreciso.
Salkovskis ritiene che la terapia deve promuovere l’accettazione, da parte del paziente che soffre di ipocondria, della reale possibilità di potersi ammalare offrendo una versione alternativa al problema, spostando il focus d’attenzione sulla consapevolezza del significato che ha questo evento.
Contemporaneamente si deve ricostruire in termini più positivi la rappresentazione che il paziente ipocondriaco ha di se stesso, rappresentazione che spesso si basa su valutazioni di debolezza, gracilità e quindi vulnerabilità alle malattie.
Obiettivo della terapia cognitiva consiste nel disconfermare la credenza erronea del paziente di essere gravemente malato, offrendo un’ipotesi alternativa più realistica che si basa sulla raccolta di dati che evidenziano l’alterazione della percezione.
L’ipocondria nella nostra società
Nella società odierna la cura del corpo (anche in termini estetici) è ben accettata, e spesso la corsa dal dottore e i controlli assidui, fanno in modo che quella persona venga giudicata come molto responsabile. Purtroppo, però, non ci si accorge che in certi soggetti queste approvazioni non fanno che alimentare il proprio comportamento ossessivo verso la salute (o la malattia) e non solo, perché colpevole è anche il proliferarsi dell’uso indiscriminato di internet.
Chiunque, almeno una volta nella vita, ha cercato di auto-diagnosticarsi una malattia con l’uso di Google; è facile e anche a portata di mano.
Questo atteggiamento è abbastanza pericoloso poiché si assimilano le notizie in maniera del tutto errata e vengono interpretate senza avere la giusta informazione medica.
Inoltre le continue visite mediche a cui l’ipocondriaco decide di sottoporsi, comportano un dispendio di denaro a se e allo Stato.
Un articolo del Corriere della Sera riporta i dati del danaro che lo stato britannico spende solo per gli ipocondriaci: 2 miliardi di sterline l’anno (circa 2,8 miliardi di euro) e non solo, perché si spreca anche tempo aumentando le liste di attesa di pazienti con reali patologie. Anche per questi motivi è importante educare i cittadini a curare in modo corretto le malattie e i disturbi minori, per evitare un consumo inutile di danaro e di tempo.
L’ipocondriaco a livello organico può essere sano o malato, può rimuginare su una malattia che suppone di avere e ignorarne un’altra. Sempre, comunque, il quadro psicopatologico riguarda la costruzione dei significati che il paziente fa sul corpo e sul suo funzionamento.
Non è dunque una patologia del corpo, ma dell’interpretazione (Simona Argentieri Bondi, 2003). Il soggetto non riesce a riconoscere un cambiamento del proprio corpo, come ad esempio una normale variazione del battito cardiaco o un dolore addominale, attribuendogli la diagnosi di “malattia grave”.
Terapia breve per le sindromi ipocondriache*
La Terapia Breve Strategica è ritenuta una delle più efficaci per la cura di questo tipo di problema, dove le indicazioni hanno come scopo appunto quello di bloccare questo circolo vizioso disfunzionale aiutando ad “ascoltarsi” in modo diverso.
Negli anni che vanno dal 1988 al 2000 il terapeuta strategico Giorgio Nardone, attualmente direttore del Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo, ha messo a punto diversi protocolli di trattamento dimostratisi efficaci per specifici disturbi fobico-ossessivi.
E’ utile definire in termini generali come è strutturato il protocollo di intervento per poi passare in rassegna quello specifico dell’ipocondria.
Il protocollo di intervento strategico per l’ipocondria
Un protocollo di intervento può essere suddiviso in una sequenza di quattro fasi:
- Primo stadio: in questa fase il terapeuta deve creare un’atmosfera terapeutica di compliance all’intervento e rilevare quali sono state finora le tentate soluzioni agite dal paziente rispetto al problema portato.
- Secondo stadio: in questa fase il terapeuta adatta l’intervento strategico alla problematica in questione, introducendo le prime tecniche e permettendo alla persona di vivere per la prima volta in maniera concretamente diversa la sua patologia. Tale esperienza correttiva lo condurrà a una diversa percezione della realtà, fino ad allora vissuta come incontrollabile e ingestibile.
- Terzo stadio: si procede verso altri cambiamenti. Questa fase è ritenuta la più delicata in quanto il paziente dovrà mantenere i successi finora acquisiti e aggiungerne altri per la risoluzione definitiva del problema presentato.
- Quarto stadio: ridefinizione del nuovo equilibrio e chiusura della terapia. In questa fase avviene lo svelamento di tutti gli stratagemmi utilizzati senza la consapevolezza del soggetto, per evidenziare come non è avvenuta nessuna “magia”, ma sono state utilizzate tecniche specifiche per mobilitare le risorse del paziente, fino ad allora bloccate. (Nardone, 1997)
Il trattamento consta di un numero ridotto di sedute, in media 7-10.
Con questo protocollo si ribadisce un importante concetto basilare della terapia strategica e cioè che non è tanto importante il perché della paura, quanto come funzionano i processi e le dinamiche percettive-reattive tipiche delle persone affette da disturbi fobico-ossessivi.
Fasi del protocollo di trattamento per la soluzione del disturbo ipocondriaco
Primo stadio (prima seduta)
Nel primo incontro si cerca di creare un’atmosfera di accettazione interpersonale.
A questo fine è importante che il terapeuta accetti le paure, spesso immotivate, del paziente ipocondriaco.
Se così non fosse, si otterrebbe l’effetto contrario e cioè la non collaborazione del paziente che ancora una volta si troverebbe di fronte una persona che gli dice di “non avere niente di grave” senza però fornirgli soluzioni alternative.
Si deve, paradossalmente, accettare e prendere come possibili tutte le paure del soggetto anche quelle che, dal punto di vista di una persona “sana”, possono sembrare bizzarre.
Alla fine della prima seduta si passa in riesame tutto quello finora detto, e si affida al paziente un primo compito: cercare un significato che il suo sintomo può avere all’interno della propria personalità, regalandogli una connotazione positiva.
Secondo stadio (dalla seconda alla sesta seduta)
Il secondo incontro si apre con il riferire, da parte del paziente, dei diversi significati, ai quali ha pensato durante la settimana, che il suo sintomo può avere.
Con questo apparentemente semplice compito il primo risultato che si è ottenuto è stato quello di spostare l’attenzione su qualcosa di diverso dall’usuale catena di pensieri basati sulla paura.
Nelle sedute successive si passa alla prescrizione di alcuni comportamenti.
Per due settimane il paziente deve evitare qualunque contatto con i medici e mantenere un rigoroso silenzio rispetto al proprio problema. Può lamentarsi dei suoi sintomi solo per mezz’ora ogni sera dopo cena.
Inoltre tre volte al giorno (mattina, pomeriggio e prima di andare a dormire) deve posizionarsi davanti ad uno specchio con carta e penna e procedere ad un’attenta ispezione di tutte le sensazioni provenienti dal proprio corpo, specificando bene la malattia a cui fa riferimento.
Con cadenze bisettimanali, gli esercizi vanno a poco a poco diminuiti.
Terzo stadio (dalla sesta seduta in poi)
A questo punto la maggioranza dei pazienti ipocondriaci riferisce di sentirsi decisamente meglio e di aver ridotto l’ansia eccessiva.
A tutti i pazienti in questo stadio viene prescritto un compito, quando il soggetto esce, di annotarsi tutti i comportamenti delle persone osservate e le caratteristiche individuali.
Questo stratagemma è denominato “prescrizione dell’antropologo” (Nardone, 2007) e ha come obiettivo quello di spostare l’attenzione da sé verso l’esterno, evitando di concentrarsi troppo su quello che accade all’interno del proprio corpo.
Nelle sedute successive si procede con l’ulteriore ridefinizione positiva della situazione e del cambiamento ottenuto.
Quarto stadio (ultima seduta)
Completa assunzione di autonomia personale ed elasticità percettivo-reattiva da parte del paziente.
Scritto da Cristina Lo Bue
*Articolo tratto dalla tesi di laurea della dott.ssa Cristina Lo Bue, che illustra per somme linee il protocollo utilizzato in Terapia Breve Strategica per la cura dell’ipocondria.
Bibliografia
- De Vanna M., Cauzer M., Marchiori R., Il Misterioso pianeta dell’ipocondria, Il pensiero scientifico Editore, 2002
- Nardone G., Non c’è notte che non veda il giorno, Tea editore, 2005
- Nardone G., Paura, panico, fobie. La terapia in tempi breve, Editore ponte alle Grazie, 2007
- Nissen B., Ipocondria. Lo stato attuale della ricerca in campo psicoanalitico, Cierre Edizioni, 2003
- Watzlawick P., Nardone G., Terapia breve strategica, Raffaello cortina Editore, 1997
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