
Come superare il pensiero negativo
2 Marzo 2025Indice contenuti
Come gestire le parafilie con un approccio strategico.
Le parafilie rappresentano uno degli enigmi più affascinanti e, al tempo stesso, più ostici della psicologia contemporanea. Spesso, queste forme di desiderio sessuale atipico vengono percepite come un problema, un’aberrazione o, peggio, una condanna. Ma cosa sono davvero le parafilie? E, soprattutto, come possiamo gestire le parafilie senza lasciarci sopraffare da vergogna, sensi di colpa o giudizi imposti da una cultura rigida? In questo articolo, voglio guidarvi attraverso una comprensione strategica di questo fenomeno, proponendo un punto di vista che non si limita a catalogare o patologizzare, ma che apre la strada a soluzioni pratiche e innovative, senza mai perdere di vista l’umanità di chi le vive.
Che cosa sono le parafilie?
Le parafilie, secondo la definizione clinica, sono intensi e persistenti interessi sessuali che si discostano dalla norma sociale o statistica, spesso focalizzati su oggetti, situazioni o comportamenti particolari – come il feticismo, il voyeurismo o il sadomasochismo – anziché su un partner in senso tradizionale. Non tutte le parafilie sono necessariamente patologiche: secondo il DSM-5, diventano un “disturbo parafilico” solo quando causano disagio significativo, compromissione funzionale o danno a terzi. Tuttavia, nella realtà, anche chi non presenta un disagio clinico può vivere un profondo conflitto interiore, alimentato da stigma sociale, paura del giudizio o autocritica.
La mia esperienza, maturata in oltre quindici anni di lavoro con individui e coppie, mi ha insegnato che gestire le parafilie non significa semplicemente avere a che fare con “problemi da estirpare” o “deviazioni da correggere”. Sono, piuttosto, espressioni complesse della psiche umana, spesso radicate in dinamiche profonde, come il bisogno di controllo, il piacere estremo o la ricerca di unicità. Eppure, troppo spesso, chi le vive si ritrova intrappolato in un circolo vizioso: il desiderio si amplifica, il senso di colpa cresce, e la vergogna diventa una prigione. Questo non è inevitabile. È possibile, e necessario, trovare un’alternativa alla modalità più utilizzata – quella di lotta, negazione o rimozione – per trasformare il disagio in un’opportunità di crescita personale.
Il peso della vergogna e il paradosso del controllo
Perché la vergogna è così centrale nelle parafilie? Perché, come spesso accade nei problemi umani, cerchiamo di controllare ciò che ci spaventa, ma questo tentativo di controllo alimenta il problema stesso. Immaginate una persona che, scoprendo un desiderio parafilico, tenta di sopprimerlo o ignorarlo: più si oppone, più quel desiderio si rafforza, diventando un’ossessione. È il paradosso tipico che osservo nei miei studi: il tentativo di eliminare un comportamento o un pensiero lo rende più potente. La vergogna, allora, non è solo un’emozione, ma una trappola strategica che perpetua il disagio.
Questa dinamica non è diversa da quella che vediamo in altri disturbi, come le fobie o i disturbi ossessivo-compulsivi. Tuttavia, le parafilie presentano una peculiarità: il loro legame con la sfera sessuale le rende particolarmente sensibili al giudizio sociale. Chi le vive può sentirsi isolato, sbagliato, o addirittura “mostruoso”. Ma questa percezione non è un dato di fatto: è una costruzione, spesso imposta da una cultura che fatica a comprendere la diversità sessuale. La sfida, quindi, non è eliminare il desiderio, ma imparare a gestirlo diversamente, trovando un equilibrio che rispetti l’individuo e le sue esigenze.
Un approccio strategico: oltre la patologizzazione
Come possiamo, allora, gestire le parafilie senza cadere nella vergogna? La mia esperienza, basata sull’approccio strategico breve, suggerisce che la soluzione non sta nell’analisi interminabile o nella rimozione forzata, ma in un intervento rapido, mirato e, soprattutto, rispettoso della persona. Le tecniche strategiche si concentrano sul cambiamento comportamentale e cognitivo, lavorando non sul “perché” di un problema, ma sul “come” superarlo. Questo significa osservare le modalità disfunzionali – quelle più utilizzate, come l’autocritica, l’evitamento o il tentativo di controllo – e proporre alternative concrete, basate su ciò che funziona davvero.
Immaginate una persona che vive una parafilia e si sente intrappolata da un desiderio ricorrente. Tradizionalmente, potrebbe provare a ignorarlo, a combatterlo o a nasconderlo, ma queste strategie spesso falliscono, aumentando il disagio. Con un approccio strategico, invece, lavoriamo su piccoli cambiamenti pratici: un nuovo modo di pensare al desiderio, un’azione diversa per gestirlo e che rompa il ciclo di vergogna. Non si tratta di eliminare il desiderio – che, del resto, è parte dell’identità – ma di costruirne un’alternativa che porti appagamento, senza conflitti interiori.
Questo metodo, che ho affinato in anni di lavoro clinico, si basa su casi reali, osservazioni sul campo e un principio fondamentale: il cambiamento avviene quando smettiamo di opporci al problema e iniziamo a navigarlo strategicamente. Non si tratta di una terapia lunga o teorica, ma di un percorso breve, diretto, che produce risultati visibili in poche settimane. Tuttavia, non voglio svelare qui i dettagli: il cuore del mio lavoro è racchiuso nel mio libro , che rappresenta il culmine di questa ricerca.
Il ruolo del terapeuta e dell’individuo
Per chi vive una parafilia, il primo passo è riconoscere che la vergogna non è una condanna, ma un ostacolo superabile. Spesso, chi cerca aiuto si sente giudicato, anche da sé stesso. Il mio approccio strategico invita a spostare l’attenzione dal “cosa c’è di sbagliato in me” al “come posso gestire diversamente questa situazione”. Questo richiede coraggio, ma anche un metodo chiaro, che il libro che sto per presentare offre in modo dettagliato.
Per i terapeuti, invece, la sfida è accompagnare il paziente senza cadere nei pregiudizi o nelle soluzioni standard. Troppo spesso, si cerca di “curare” le parafilie con approcci rigidi, che ignorano la complessità della persona. Il mio metodo strategico breve offre un toolkit pratico, basato su un protocollo passo-passo, per aiutare i pazienti a trovare un’alternativa alla modalità più utilizzata, senza etichettarli o patologizzarli. È un approccio che ho testato con successo su numerosi casi, e che rappresenta una svolta per chi opera nel campo clinico.
Verso un’appagamento senza vergogna
Gestire le parafilie senza vergogna significa quindi cambiare prospettiva: non si tratta di combattere un nemico interno, ma di costruire una relazione e una percezione diversa con i propri desideri. Questo richiede un lavoro strategico, non solo emotivo o teorico. Le parafilie, infatti, non sono un destino, ma un’opportunità per riscoprire sé stessi, se affrontate con le giuste strategie. Il mio metodo si basa su questa idea: non eliminare, ma trasformare il modo in cui viviamo i nostri desideri, trovando un equilibrio che porti pace e appagamento.
Non è un percorso facile, ma è possibile, e i risultati possono essere rapidi e duraturi. Ho visto persone passare dal senso di colpa a una nuova serenità.
Il mio nuovo libro: un invito al cambiamento
Dopo anni di studio e applicazione sul campo, ho deciso di condensare la mia esperienza in Parafilie: Il Metodo Strategico. Come passare dal disturbo all’appagamento, un libro che guida sia chi vive parafilie sia i professionisti che le trattano. In queste pagine troverete casi reali, esercizi pratici e un protocollo innovativo per trovare un’alternativa alla modalità più utilizzata, scritto con un linguaggio accessibile e diretto. Il libro esce il 31 marzo 2025 ed è già disponibile in prevendita su Amazon. Un investimento che vale una consulenza strategica.
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