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5 Giugno 2012Gli oggetti nei confronti dei quali la scuola dovrebbe esercitare un impegno preventivo si possono collocare in tre categorie: insuccesso scolastico, ritardo e abbandono.
Si parla in questi casi di disadattamento scolastico, che indica una situazione di oggettiva difficoltà nel conseguire un corretto equilibrio tra le esigenze e le motivazioni del soggetto e le aspettative del contesto (Confalonieri E., Liverta Sempio O., Scaratti G., 1999).
Come sostiene Piaget, l’adattamento-integrazione consiste nella “possibilità di entrare in accordo con la realtà, e nello stesso tempo, di trasformarla” (Freire, 1967). Alla luce di queste considerazioni, potremmo definire il disadattamento scolastico come l’incapacità del soggetto di partecipare in modo attivo e creativo all’ambiente scolastico.
Più sfumata invece è la categoria del disagio, in cui sono compresi due significati: da una parte, tutte le forme di malessere del disadattamento e della devianza, dall’altra parte, una condizione di difficoltà che può portare al disadattamento con l’accumularsi di fattori di rischio e senza interventi da parte del sistema sociale, ma non necessariamente legata all’ambiente scolastico (Confalonieri E., Liverta Sempio O., Scaratti G., 1999).
Si distinguono tre forme di disagio adolescenziale:
- Disagio evolutivo endogeno: legato alla crisi di transizione dell’età adolescenziale che fa parte del naturale processo di crescita.
- Disagio socioculturale esogeno: legato ai condizionamenti della società.
- Disagio cronicizzante: legato all’interazione di fattori di rischio individuali e locali con le precedenti forme di disagio.
Per quanto riguarda il disagio evolutivo si possono distinguere due piste di analisi:
- Individuare i nodi conflittuali della condizione adolescenziale (sperimentazione di sé, ambivalenza, isolamento contrapposto a vissuti di onnipotenza);
- Leggere la fase adolescenziale come un insieme di prove inevitabili di iniziazione alla vita adulta (compiti evolutivi).
Per quanto riguarda il disagio socioculturale si possono distinguere alcuni fattori:
- Frammentazione dell’esperienza individuale;
- Eccedenza di modelli possibili di esperienza;
- Perdita di significato di certi luoghi e della dimensione tempo.
Il disagio cronicizzante si può far risalire a:
- Fattori legati alla prima infanzia del soggetto;
- Fattori familiari (es. carenze affettive, violenza fisica o psichica);
- Fattori socioculturali (es. povertà, carenza di servizi);
- Fattori legati alla storia del soggetto (es. migrazione).
Il disagio è l’espressione di un intreccio di fattori strutturali e dinamico-evolutivi che nella sua complessità sistemica attraversa e coinvolge tutte le componenti del contesto scolastico.
Come intervenire?
In questa prospettiva il contrasto al disagio diviene soprattutto “prevenzione del disagio” e dunque primariamente promozione del benessere. Il benessere viene pertanto inteso come una dimensione globale e trasversale dell’essere a scuola e del fare scuola. Una scuola che si pone in questa prospettiva assume come principio-guida quello di sintonizzarsi con le istanze interne degli allievi e intercettarne i bisogni e le potenzialità, trasformandosi da contenitore di interventi volti alla presa in carico del disagio a contesto di promozione (progettazione) per il benessere.
Questa consapevolezza ha portato allo sviluppo di interventi basati sul modello del self empowerment volti a rendere le persone competenti, aiutandole a costruire le condizioni (sia in termini di “saper fare” che di “saper essere”) necessarie per conquistare (o riconquistare) fiducia in sé, utilizzando il lavoro di gruppo, tecniche di problem solving e di counselling.
Un esempio di questo tipo di interventi, impiegati anche nel contesto scolastico è rappresentato dal programma Life Skills Education (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004), che è volto alla promozione del benessere e alla prevenzione del disagio attraverso l’insegnamento di capacità di gestione dell’emotività e delle relazioni sociali.
Un altro modo in cui la scuola può aiutare l’adolescente è attraverso spazi di dialogo e di ascolto, sia individuali, sia di gruppo, condotti dagli insegnanti stessi o dagli psicologi. La possibilità di riflettere a scuola sui compiti e sui conflitti evolutivi contribuisce a creare una cultura comune di gruppo, aiutando gli adolescenti a trovare nuovi significanti.
L’adolescenza è un’età di grande cambiamento, in cui l’assetto di personalità si riorganizza in funzione della costruzione della nuova identità. Un ascolto psicologico ed educativo competente nel caso di studenti in difficoltà, che sappia trovare le parole giuste per mettere in simboli i conflitti evolutivi, è fondamentale per evitare il rischio di una scelta di soluzioni non adattive che tenderanno a fissarsi nella nuova identità.
La scuola quindi deve interrogarsi affinché possa dare un contributo all’arricchimento di idee e strumenti per incentivare quei processi di cambiamento evolutivo, che favoriscano lo “star-bene a scuola” per tutti quelli che la “abitano e la fanno vivere quotidianamente”.
Bibliografia
- Confalonieri E., Liverta Sempio O., Scaratti G. (a cura di) (1999). L’abbandono scolastico. Aspetti culturali, cognitivi e affettivi, Raffaello Cortina Editore.
- Freire P. (1967). L’educazione come pratica di libertà, Tr. It. Mondadori, Milano, 1975.
- Marmocchi P., Dall’Aglio C., Zannini M. (2004). Educare le Life Skills. Come promuovere le abilità psico-sociali e affettive secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Erickson, Trento.
- Migani C. (a cura di) (2004). Dal disagio scolastico alla promozione del benessere, Carocci Editore.
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