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Oggi più che mai i genitori si ritrovano in difficoltà a gestire l’adolescenza. Questo perché il modello in questa fase evolutiva, viene messo in crisi. Cerchiamo di capire cosa accade.
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Una diagnosi (troppo) diffusa
Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, la sindrome da iperattività con deficit di attenzione (ADHD) colpisce circa il 10% dei bambini statunitensi, di cui la diagnosi risale ai 7-8 anni d’età e spesso vengono somministrati dei farmaci parallelamente ad un supporto psicologico. Sempre più spesso viene fatto un abuso di questo tipo di diagnosi, ma fortunatamente ci si è allontanati dall’idea che la causa sia da ricercare solo ed esclusivamente a livello di dinamiche familiari, in quanto è provato che in questi casi sia presente un danno a livello cerebrale, in particolare della corteccia pre-frontale.
Purtroppo una delle possibili conseguenze è che questi bambini sviluppino tendenze all’ansia e difficoltà nella regolazione emotiva, e in questo i genitori devono fungere da guida e supporto nel processo di crescita. Questo, insieme ad altri, sembra essere uno dei problemi più presenti che i fanciulli di oggi devono riuscire a superare, e sicuramente anche le relative famiglie. In particolare, nel momento in cui si trattano problematiche di questo tipo anche con trattamenti farmacologici, di solito stimolanti, possono conseguire fattori di rischio come insoddisfazione, instabilità, problemi relazionali e abuso da sostanze che influenzeranno il periodo adolescenziale. (Leggi i cambiamenti del periodo adolescenziale)
Questa “pioggia” di diagnosi sul filone dell’ADHD rientra nel contesto di oggi relativo ad un’eccessiva attenzione ai bambini e alle loro esigenze, laddove il modello di paragone è la classica famiglia “da Mulino Bianco” che diventa naturalmente inarrivabile, e questo genera ansia da prestazione. Nel 2005 Judith Warner parlava di “trappola della maternità”, indicando appunto un circolo vizioso in cui le madri si sentono in dovere di soddisfare le aspettative dei figli e i conseguenti sensi di colpa in caso di fallimento percepito. (Scopri la tecnica efficace per superare le aspettative)
Questo probabilmente è causato dal gap generazionale evidente, e il contrasto tra reale e ideale.
Una fragilità disconosciuta
L’adolescente nato alla fine degli anni ’90 sembra dover sostenere delle prove che non devono essere necessariamente considerate più difficili di quelle dei predecessori, ma sicuramente sono più confuse e destabilizzanti a livello emotivo e psichico.
Oggi i ragazzi non devono solo soddisfare le proprie aspettative, ma anche quelle delle generazioni precedenti (genitori, nonni..), e nel momento in cui non si adempie ai propri doveri di giovane adulto, imparando a emanciparsi, allora si crea un disagio interiore che spesso è invalidante. Questo è dovuto soprattutto al disconoscimento delle sfide psichiche con le quali i ragazzi devono confrontarsi: l’utilizzo del termine coniato recentemente dai media “bamboccioni” è un esempio di questo fenomeno. I giovani non sono più pigri o viziati, ma spesso si parla di una fragilità nuova che deve avere a che fare con nuovi assetti familiari che per una persona nata negli anni ’50 sono inconcepibili, con nuove problematiche a livello mondiale come crisi economiche e politiche, e con una rivoluzione tecnologica sempre in divenire con cui stare al passo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità c’è un <<male di vivere>> che si ritrova in molti giovani, e spesso si fa fatica ad accorgersene. Il 30% dei ragazzi è affetto da malattie mentali, di cui il 15-20% circa riguarda l’abuso di droghe e alcool, seguito da un 10% dovuto a depressione e un 5-15% di disturbi ansiosi.
Sicuramente anche in passato si potevano riscontrare una serie di disagi più o meno gravi nei giovani, ma questi numeri sono allarmanti.
Incompatibilità generazionale
Tutti ricordiamo il divertente monologo interiore di Michele Serra pubblicato nel 2013 col titolo “Gli sdraiati” in cui ci ha parlato di quanto sia difficile oggi l’interazione tra il genitore e il figlio adolescente. Nel libro, l’autore ci mostra i giovani della “generazione stesa sul divano”, che trascorre il tempo guardando il computer o oziando in modo controproducente. Già Socrate parlava dei giovani del 400 a.C. circa in modo simile: “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori…”.
A quanto pare dunque non sembra un problema dei “giovani d’oggi”, ma il conflitto generazionale è sempre stato all’ordine del giorno.
Certamente i “millenials”, ovvero i ragazzi nati tra gli anni ’80 e il 2000, che rappresentano l’ultima generazione del XX secolo, dopo la Generazione X dei nati tra il 1960 e il 1980, devono affrontare ostacoli diversi da quelli di propri genitori e dei propri nonni.
Durante il dopo guerra i problemi erano ben diversi: non c’era il tempo di annoiarsi o di pensare ai propri sogni e aspirazioni, ma si trovava un lavoro con cui mantenersi, ci si sposava e si facevano i figli, il tutto in pochi anni. I ragazzi hanno visto i propri nonni andare in pensione molto giovani e avere davanti un periodo di vecchiaia da riscoprire, in cui ci si può occupare dei propri nipoti, viaggiare o crearsi nuovi hobby. Oggi, i ragazzi hanno già l’ansia di non trovare lavoro, il partner giusto, di non trovare il proprio posto nel mondo o di non avere quella stabilità economica con cui sono cresciuti sin da bambini e non poter offrire le stesse opportunità ai propri figli. Dunque l’adolescente-tipo passa da un momento di nullafacenza, come ci racconta Serra, abituato in casa come nel mondo reale ad essere servito e riverito, a un periodo di limbo, che un tempo sarebbe coinciso con il passaggio all’età adulta, ma che ora aiuta solo a procrastinare una maturità che appare sempre più irraggiungibile. Questo periodo di difficile transizione è caratterizzato dall’indecisione sulla facoltà da scegliere – per chi continua a studiare – e da continui cicli di stage e tirocini senza fine, spesso non remunerati.
In tutto questo, i genitori dovrebbero essere quelle figure ideali cui aspirare e che passo dopo passo aiutino il giovane ad attraversare i compiti di sviluppo dati dall’età fino all’ingresso nel mondo adulto. In passato i genitori consegnavano il testimone in modo molto precoce rispetto ad ora, ma il tutto avveniva in modo naturale, mentre ora anche questo distacco da parte della figura genitoriale appare arduo.
Il nuovo ruolo del genitore moderno
Con l’avvento del ventesimo secolo, l’attenzione si è spostata dal bambino al genitore e alla loro interazione. In primis è stato S. Freud a sottolineare il ruolo chiave del genitore nel momento in cui si sviluppa la personalità, dando inizio ad un periodo florido per quanto riguarda la ricerca e la teoria psicologica del bambino, dalle idee di Piaget a quelle di Bowlby e via dicendo. Negli ultimi decenni dunque si è sempre trovato nel genitore il capro espiatorio in caso di comportamenti negativi, e questo ha influenzato il nostro modello culturale. Spesso però non ci si ricorda che in parti del mondo diverse esistono di conseguenza culture diverse, e questo si ritrova anche nei modelli comportamentali adottati dai genitori e tramandati poi ai figli.
All’interno della cultura europea, inclusa quella italiana, è nuova l’idea che il genitore faccia enormi sacrifici per il benessere del figlio senza che questo ricambi: oggi è normale che la famiglia paghi i vestiti, l’istruzione fino a quei piccoli vizi come la discoteca del sabato sera e la birra con gli amici. Oggi c’è un’estrema attenzione ai figli quasi in opposizione al passato: prima si usavano punizioni corporali, e i piccoli venivano esposti ad eventi come lutti e malattie con naturalezza per aiutarli nel processo di crescita; ora invece si cerca sempre di proteggerli prolungando la loro infanzia e anticipando i loro bisogni.
Il problema insorge su questo punto. Il genitore del bambino fino alla preadolescenza arrivava sempre “prima” di qualsiasi avvenimento, mentre nell’adolescenza è destinato al “dopo”, e spesso non è in grado di accettare questo cambiamento. Non bisogna vivere il periodo adolescenziale come una tragedia, dando adito a miti comuni che lo vedono come il momento più duro e confusivo del ragazzo, perché in questo modo si innescano processi di profezie che si auto-avverano. Al contrario bisogna imparare a lasciare più liberi i figli di fiorire tramite nuove esperienze, supportando naturalmente con ogni mezzo posseduto, ma senza tarparne le ali.
Iperprotezione e immaturità affettiva dei genitori
Essere genitori oggi a volte sembra più difficile di quanto non apparisse un tempo, proprio perché il distacco emotivo che prima caratterizzava le relazioni genitori-figli si è affievolito, col rischio di sfociare spesso in un comportamento ansioso e iperprotettivo.
I genitori moderni sono ossessionati dall’investire sulla prole un carico amorevole che possa in qualche modo impedire che da adulti abbiano qualche problema, ma questa visione del modo è ingenua e semplicistica, dato che in ogni caso la vita riserba prove e ostacoli che ognuno dev’essere in grado di superare adeguatamente.
La conseguenza di questo tipo di condotta è che i giovani non siano poi in grado di camminare con le proprie gambe e superare le contingenze del quotidiano, il che prolunga il loro stato di fanciulli e li allontana dal processo di maturità ed emancipazione che si auspica per loro.
Oltre ad un’immaturità recidiva dal punto di vista pratico così come affettivo, si coltivano così ansie e paure che i ragazzi fanno fatica a gestire, fino a presentare caratteristiche patologiche.
Dunque, se il modello autoritario delle generazioni passate viene oggi considerato negativo per il benessere psico-fisico del bambino da sociologi e psicologi, e allo stesso modo un modello di tipo permissivo dove manca l’autorità, iperprotettivo o ancora delegante dove i figli non sentono di poter contare sui loro genitori, quale diventa il modello ideale cui fare riferimento?
Tendenzialmente il prototipo più auspicabile è quello autorevole, dove vige una gerarchia e dove sono rispettate le regole, non per paura di ricevere una punizione molto dura, ma perché il fanciullo interiorizza la bontà intrinseca presenti in esse. Questo modello permette allo stesso tempo di scegliere alcuni momenti in cui è necessario porsi sullo stesso piano dei figli, per una migliore comunicazione e per comprendere il loro punto di vista. (Leggi l’articolo che approfondisce i modelli di famiglia)
In sostanza il genitore dovrebbe mantenere una coerenza tra le sue decisioni e le sue azioni, così da ottenere il rispetto e la stima del figlio, contemporaneamente deve saper valorizzare i meriti dei figli per aiutarli a crescere forti e sicuri di sé evitando di minarne l’autostima. Il culmine di questa modalità ideale è quella di responsabilizzare i figli in modo graduale, ma deciso, e concedergli la libertà di sbagliare.
Ti ho chiamato – Aspettami! – ma non hai risposto. Non mi sentivi più. Finalmente potevo diventare vecchio. [Michele Serra]
Bibliografia
- Mente e cervello –Dossier “Il mestiere di crescere” n.124
- Modelli di famiglia. Conoscere e risolvere i problemi tra genitori e figli, G. Nardone,
- Gli sdraiati, Michele Serra (2013)
- http://www.ilariaartusi.it/2014/05/essere-genitori-oggi/
- Genitorialità e adolescenza: alla ricerca di una identità, Vanna Boffo (2007) Rivista Italiana di Educazione Familiare, n.1.
- Fabio Vanni (a cura di) Essere genitori/adolescenti oggi, Assessorato benessere e creatività giovanile del Comune di Parma.
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