Attacchi di panico: cause psicologiche e come superarli
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25 Ottobre 2010L’etichetta “depressione” viene oggi utilizzata molto in psichiatria e in psicologia clinica, per descrivere quell’insieme di sintomi che rientra nella categoria dei disturbi dell’umore.
Nonostante ciò si è visto, nella pratica clinica e da studi empirici condotti attraverso l’approccio strategico, che la depressione, nella maggioranza dei casi, si manifesta come una reazione ad uno o più eventi di vita improvvisi (lutti, abbandoni, traumi, ecc.); a problemi quali disturbi fobici, ossessivi, attacchi di panico, disturbi di tipo paranoico, e problemi relazionali di vario tipo, che reiterandosi nel tempo, e non riuscendo ad essere superati, generano una reazione depressiva.
Quindi il mancato superamento di un problema, l’impossibilità di raggiungere un obiettivo o ancora una credenza infranta (es.: pensavo di riuscirci e invece ho scoperto di non essere in grado), possono generare una delusione, con una conseguente reazione di rinuncia depressiva.
Partendo da questa base, è stato dimostrato empiricamente che lavorando sul problema o sul disturbo che ha generato la reazione depressiva (fobia, ossessione, problema relazionale, etc.), si può ottenere come effetto la scomparsa di questa.
Per fare qualche esempio, un soggetto potrebbe adottare una modalità disfunzionale di chiudersi in casa, per non affrontare una situazione che gli crea il panico. Ciò potrebbe creare in lui, se questa tentata soluzione si ripete nel tempo, la percezione di essere incapace di affrontare quella determinata situazione, con conseguenti sentimenti di tristezza e vissuti di profonda frustrazione.
Ancora una persona che non riesce a relazionarsi come vorrebbe, potrebbe avere la percezione che gli altri la rifiutano, arrivando ad astenersi dai rapporti. Anche questo potrebbe generare in lei, se questa percezione si presenta nel tempo, reazioni di forte tristezza e di depressione.
E ancora di fronte ad un forte trauma (lutto, incidente, violenza, relazioni devastanti), la difficoltà o l’incapacià di superarlo, potrebbero portare alla rassegnazione, e quindi ad un conseguente effetto depressivo.
In questi tre casi, come in tutti gli altri, potrebbe essere un errore andare a lavorare sull’aspetto depressivo, in quanto, la percezione e l’interazione che si ha con se, con gli altri e con il mondo rimarrebbe sempre la stessa. Piuttosto, interrompendo ad esempio, nel primo caso la tentata soluzione di evitamento; facendo esperire nel secondo le relazioni in modo diverso o ancora nel terzo, aiutando la persona ad elaborare il trauma, si creerebbe una visone diversa di se, degli altri e del mondo, con la conseguente scomparsa della reazione depressiva.
Non c’è quindi da meravigliarsi sul come mai le cure farmacologiche antidepressive, spesso non risolvono il problema, ma piuttosto lo peggiorano, portandolo alla cronicizzazione. Anche qui, per quanto i farmaci possano alzare il livello di eccitazioen interna, la percezione e il punto di vista che la persona ha di sé, degli altri e del mondo, rimangono sempre le stesse.
Infine, secondo l’approccio strategico, si può parlare di depressione, quando un soggetto, in seguito ad una serie di illusioni e disillusioni, finisce per rinunciare a combattere, iniziando a delegare e ad assumenre il ruolo di vittima.
Come per altri tipi di disturbi, per intervenire sulla depressione l’approccio strategico si serve di metafore, ristrutturazioni, prescrizioni dirette, indirette o paradossali, al fine di aggirare le resistenze al cambiamento tipiche di ogni psicopatologia e di condurre il paziente a cambiare il suo modo di percepire la realtà e quindi il suo modo di reagire ad essa.
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