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11 Dicembre 2012Il mese scorso, in concomitanza con la Giornata Nazionale sulla mediazione familiare (il 18 ottobre 2012, data che coincide con il “Conflict Resolution Day” proclamato dall’ACR, “Association for Conflict Resolution”), promossa dall’ A.I.Me.F (Associazione Italiana Mediatori Familiari), in collaborazione con il World Mediation Forum, si sono svolti, un po’ ovunque, diversi convegni che hanno permesso agli “addetti ai lavori” e non di riflettere sull’utilità dei percorsi di mediazione.
L’A.I.Me.F sollecita la promozione della Mediazione come cultura e quest’anno, in particolare ha sollecitato la promozione della mediazione scolastica.
Indice contenuti
Proviamo a definire il conflitto…
Per poter meglio comprendere l’utilità della mediazione, in particolare a scuola, dobbiamo comprendere cos’è il conflitto.
Provate a fare questo semplice esercizio: scrivete tre o più parole che vi vengono in mente pensando alla parola conflitto.
Se anche voi avete associato termini pressoché negativi non vi discostate da quello che è il pensiero comune. Infatti, nella nostra cultura, alla parola conflitto si associano, generalmente, immagini negative e si fatica, invece, ad associarvi termini più positivi, tantomeno è quasi impensabile accostarvi parole e concetti come la “pace” (che non è assenza di conflitti, ma una forma di conoscenza intima di se stessi), se non in termini antitetici.
La riflessione sul conflitto ha origini antichissime. Sin dall’antichità, infatti, si sono sempre confrontate due visoni opposte riguardo il conflitto: ad esempio Eraclito, filosofo greco, riteneva il conflitto comune e giusto, mentre Anassimandro, anch’egli filosofo greco, si esprimeva in termini diametralmente opposti. Queste due posizioni ricalcano quelle che sono due posizioni anche attuali: da un lato si vede nel conflitto qualcosa di negativo, che va al più presto risolto.
In tale ottica il conflitto è sempre disfunzionale, crea danni, e dunque va gestito applicando rapidamente modalità di riduzione o eliminazione, al di là delle cause che lo hanno determinato o di ciò che potenzialmente potrebbe produrre di innovativo.
La seconda visione sottolinea il potenziale creativo e costruttivo delle situazioni di conflitto, enfatizzando il positivo sviluppo di idee, opzioni e prospettive che può innescare. In tale ottica è bene saper “gestire” proficuamente il conflitto.
Più avanti nel tempo, Machiavelli e Hobbes, definiscono le interazioni umane come conflittuali, in quanto improntate sulla competizione individualistica, sotto la spinta delle passioni e dell’egoismo personali. Anche secondo questi due autori però, la spinta alla competizione deve essere tenuta a freno perché potenzialmente distruttiva.
Ancora oltre, e grazie alle successive riflessioni filosofiche, Simmel affermerà che nell’uomo esistono due tendenze distinte: una associativa e una dissociativa. Secondo l’ autore il conflitto assume una funzione integrativa perché gli atti conflittuali diventano interazioni stesse tra individui. E’ importante però che vi siano forme conflittuali regolate (concorrenza economica, procedura giudiziaria…), poiché attraverso il riconoscimento delle regole si legittimano l’esistenza e gli interessi della controparte.
Cosa fare in presenza di un conflitto?
Secondo Luhmann, invece, il conflitto funge da indicatore di disfunzioni all’interno del sistema sociale in quanto è l’espressione di una contraddizione. L’idea del conflitto come sintomo è interessante perchè rimanda alla possibilità di considerare il conflitto come un campanello d’allarme. Il conflitto può cioè essere letto come l’espressione di un disagio, quindi nel momento in cui osserviamo una situazione di conflitto, sappiamo che lì, forse, c’è un problema, una difficoltà. Il conflitto non va per tanto represso, ma esplicitato, tirato fuori, compreso ed elaborato. Risolvere il conflitto non vuol dire però annullare le differenze.
Deutsch, ad esempio, individua alcune funzioni positive del conflitto:
- previene la stagnazione;
- stimola curiosità e interesse;
- permette di affrontare problemi e trovare soluzioni;
- permette di mettere alla prova le proprie capacità;
- serve a differenziare i gruppi;
- contribuisce a stabilizzare l’ identità individuale e di gruppo.
Il conflitto dunque è qualcosa di inevitabile, perchè è una delle possibili modalità relazionali. L’importante quindi è gestirlo. Se non riusciamo ad ascoltare adeguatamente i bisogni dell’altro la parola diventa urlo e i comportamenti diventano aggressivi.
Il conflitto deve quindi trasformarsi in opportunità, che ci permetta di vedere la diversità come un valore, che ci può arricchire.
Le diverse tipologie di conflitto presenti nel sistema scolastico
Per chi, come me, si trova ad operare nei contesti scolastici, sa quanto sia presente e importante il conflitto tra i bambini e sa quanto sia importante agire nel giusto modo.
Nell’ambito scolastico, realtà sociale e organizzata, il conflitto può rientrare a vari livelli:
- conflitto tra bambini;
- conflitto tra insegnanti e bambini;
- conflitto tra insegnanti e famiglia;conflitto tra insegnanti e insegnanti;
- conflitto tra insegnanti e dirigenza o personale ATA;
il conflitto può cioè attraversare gli attori sociali in verticale (quando il conflitto riguarda gradi diversi di “potere”) oppure in orizzontale (quando cioè il conflitto si esprime tra “pari”).
Per quanto riguarda il conflitto tra bambini, dobbiamo necessariamente rivolgere lo sguardo alle motivazioni che innescano il conflitto. I bambini sono portati, spontaneamente, a chiedere l’intervento di un terzo, in genere l’adulto di riferimento, per risolvere i loro litigi. Spesso però si osserva, e questo mi appare anche nella mia quotidianità lavorativa, che basta rimandare ai bambini che potranno trovare da loro la risoluzione alla loro problematica, per poterli riappacificare. I bambini infatti, di solito, sono in grado di trovare tra di loro un accordo. E’ solo in litigi più seri o dove i bambini arrivano a manifestare concretamente la loro aggressività, che l’adulto deve intervenire e mettersi nel ruolo di mediatore. Oggi nelle scuole, inoltre, spesso è presente il fenomeno del bullismo. Un intervento di mediazione potrà servire a ridurre anche tale fenomeno in costante crescita.
Il conflitto tra insegnate e bambino, spesso riguarda dinamiche interpersonali che si accendono a causa di tratti caratteristici delle personalità dell’uno o dell’altro. Ad esempio, un bambino che disturba particolarmente, oppure che non esegue mai i compiti assegnati, o ancora che si impegna poco, può essere motivo per ingaggiare un vero e proprio conflitto con l’insegnante. Prezioso, a questo punto, l’intervento di un terzo, esterno alle relazioni tra allievo e docente, che possa mostrare al docente e al bambino come trasformare quel conflitto in qualcosa di costruttivo per entrambi. Spesso dietro al conflitto adulto-bambino si celano caratteristiche di personalità e conflitti intra-psichici che agiscono a livello inconscio. Un terzo può far prendere coscienza del proprio modo di funzionare e quindi trasformarli in positivo.
Il conflitto tra insegnanti e famiglia, è forse il conflitto più noto oggi a chi, a vario titolo, rientra nel mondo della scuola. A causa dei mutamenti che hanno attraversato la nostra cultura, negli ultimi cento anni, si è passati da uno stile educativo basato sull’autoritarismo, tipico della famiglia normativa, ad uno stile basato sul permissivismo, dove il bambino assume una dimensione centrale all’interno della famiglia, detta affettiva. Questi mutamenti hanno però portato a delegare alcuni aspetti educativi ad altri ambiti esterni alla famiglia, salvo poi intervenire, in maniera decisa, se solo gli obiettivi educativi si discostano da quelli familiari. Argomenti di discussione tra insegnati e genitori possono riguardare ad esempio: i compiti, i metodi di insegnamento, le difficoltà scolastiche del bambino, i rimproveri e i metodi educativi della scuola, il sistema di regole in genere. Anche in questo caso l’intervento di un terzo, esterno alle dinamiche conflittuali, può intervenire adeguatamente e modificare in positivo il conflitto.
Il conflitto tra insegnanti e insegnanti, si genera per i più svariati motivi. Come in ogni equipe lavorativa, l’aspetto relazionale è elevato. Si devono quindi gestire diversi tipi di competizione e collaborazione, il confronto, la partecipazione, la condivisione, gli stili di negoziazione e dell’accordo. Ciò che si vive nel nella vita lavorativa spesso è più vicino al confronto di idee, di aspettative, di interessi, all’ analisi e discussione delle divergenze, alla messa in campo di opinioni o prospettive che solo potenzialmente collidono con quelle di altri attori organizzativi e che non necessariamente sfociano in una situazione conflittuale. Anche in questo caso, essere in presenza di un terzo, esterno alle dinamiche di gruppo potrà servire a trasformare il conflitto.
Il conflitto tra insegnanti e dirigenza, o personale ATA, fa parte dei conflitti verticali. Le dinamiche relazionali che coinvolgono la leadership sono le più delicate; per far sì che un’equipe possa davvero dirsi tale e lavorare per il raggiungimento di obiettivi comuni deve prendere coscienza delle proprie dinamiche gruppali e di funzionamento e anche in questo caso è spesso necessario un terzo esterno a tali dinamiche che possa mettere in luce le caratteristiche dell’ equipe di lavoro.
Approfondimenti
- Castelli Stefano, La mediazione. Teorie e tecniche, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 1996.
- D’Alò E., Mastro A., Persano L., La mediazione scolastica. Teorie e strategie di intervento, Armando Editore, Roma, 2005.
- Di Rosa Roberta T., “La mediazione. Gestione del conflitto e (ri)costruzione sociale”, Ed. La Zisa, Palermo, 2002.
- Martello Maria, “Oltre il conflitto. Dalla mediazione alla relazione costruttiva”, Ed. McGraw-Hill, Milano, 2003.
- Olla Igor, “Adolescenti a scuola”, Ed. Marco Valerio, Torino, 2005.
- Pinna Savina, Spissu Margherita, Spissu Giovanni, “Mediare e prevenire nella scuola. Da un’esperienza europea un modello progettuale per la prevenzione del disagio”, Ed. Punto di Fuga, Cagliari, 2003.
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