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5 Marzo 2013La Comunicazione non violenta è un linguaggio naturale, disponibile in ognuno di noi. In questo senso, non va appreso: piuttosto, va dis-appreso tutto ciò che ci impedisce di accedere a questo naturale modo di comunicare con noi stessi e gli altri. Non siamo, infatti, più abituati ad una comunicazione chiara e pacifica. Troppo spesso, e soprattutto quando ci sono in ballo le emozioni, finiamo per “sporcare” con recriminazioni, allusioni, pretese, interpretazioni ciò che, molto più semplicemente, vorremmo dire.
Le ragioni per cui tutto questo accade sono moltissime e diverse: tra queste, una mancanza di chiarezza rispetto a quello che sentiamo e desideriamo, una estrema difficoltà a mostrarci nelle nostre fragilità, così come nel chiedere aiuto, nel chiedere scusa e ringraziare.
La comunicazione, originariamente e semplicemente non violenta, ha finito col diventarlo, violenta. E con questo aggettivo non si intende un dialogo fitto di brutte parole, insulti o bugie. Violenta è una comunicazione che non tenga conto dei bisogni e sentimenti delle persone in dialogo.
In molti, hanno deciso di recuperare questo sapere e andare a ripulire la comunicazione di tutto ciò che, fondamentalmente, la ostacola. Tra questi, Marshall B. Rosenberg, ideatore e direttore dei Servizi Educativi del CNVC (Center for Nonviolent Communication). Rosenberg ha dedicato 40 anni di ricerca appassionata a questo tema, di cui a seguire, tento un’estrema sintesi che spero possa esservi utile.
4 strategie per un comunicazione non violenta
La Comunicazione Nonviolenta parte dal presupposto che alla base di ogni sentimento e comportamento umano, ci siano dei bisogni che è giusto prendere in considerazione e soddisfare. Focalizza l’attenzione sulle azioni che, soddisfando i bisogni, arricchiscono la nostra vita insieme a quella degli altri (e non a scapito degli altri).
La Comunicazione Nonviolenta porta la nostra consapevolezza su quattro punti o informazioni fondamentali che facilitano l’espressione di noi stessi e l’ascolto dell’altro:
- Preferire l’osservazione dei fatti ai giudizi moralistici – ad ogni istante proviamo sentimenti ed abbiamo bisogni, ma a volte ne siamo scollegati. Quando siamo scollegati da ciò che è vivo in noi, ci esprimiamo con giudizi moralistici (“è bravo”, “è antipatico”): i giudizi moralistici sono l’espressione economica, semplicistica, e un po’ tragica di ciò che è vivo in noi. Quando, invece, ci colleghiamo col nostro cuore possiamo sentire e, se lo desideriamo, esprimere i nostri sentimenti (“sono triste”, “sono felice”). Spesso, credendo di esprimere i nostri sentimenti, usiamo parole che nascondono un’interpretazione sugli altri. Ad esempio, dicendo “mi sento trascurato”, “mi sento usato” comunico la mia tristezza, ma anche la responsabilità di qualcun altro per il mio sentimento di tristezza (è qualcuno che mi trascura, è qualcuno che mi usa). Altre parole, usate frequentemente, che nascondono un’interpretazione sugli altri sono: abbandonato, attaccato, costretto, frainteso, ignorato, imbrogliato, umiliato, ferito, emarginato, sminuito, rifiutato,… Questo punto è molto importante: limitiamoci a osservare i fatti e sentire le emozioni (“mi sento così”) senza interpretare, giudicare né addossare la responsabilità agli altri.
- Fare chiarezza su ciò che sentiamo e sull’origine del nostro sentire – Scegliendo parole che descrivano il nostro sentire senza tirare in mezzo altri, riusciamo ad assumerci la responsabilità di come ci sentiamo e sviluppare grande chiarezza sui sentimenti che stiamo provando. I sentimenti sono come spie che si accendono sul quadro elettrico della macchina: ci segnalano se tutto funziona o se qualcosa non va. Quando una spia è accesa val la pena scoprire a quale bisogno è collegata. In particolare, un sentimento positivo è indice di un bisogno soddisfatto, mentre un sentimento negativo ci parla di un bisogno non soddisfatto. Dunque, l’origine del nostro sentire ha a che fare con i nostri bisogni, appagati o insoddisfatti.
- Riconoscere ed esprimere i nostri bisogni e valori – Quando ci sentiamo in un certo modo, è bene, quindi, chiederci quali bisogni non sono soddisfatti. Ci sono alcuni bisogni di base che noi tutti abbiamo e dalla cui soddisfazione o meno dipende la nostra qualità di vita e il nostro benessere psicofisico. Il gruppo di Rosenberg ha stilato un elenco di bisogni di base, la cui soddisfazione è importante per una buona qualità di vita. Quello che potrebbe accaderci è che, per via della nostra peculiare storia di vita, continuiamo a non soddisfare certi bisogni, o addirittura non pensiamo neanche siano bisogni da soddisfare (bensì, “capricci”).
- Fare, nel presente, richieste precise e concrete. – Una volta compreso quale bisogno preme per esser soddisfatto, possiamo (dobbiamo!) scegliere di agire. Possiamo essere noi stessi a soddisfarlo e possiamo fare richieste precise e concrete agli altri perché ci aiutino a soddisfare il nostro bisogno. Possiamo richiedere con chiarezza ciò che potrebbe arricchire la nostra vita, ma senza avanzare pretese. Inoltre, è utile ricordare che uno stesso bisogno può essere soddisfatto in molti modi diversi.
È importante allenarci a questo tipo di comunicazione in primo luogo con noi stessi. Perché la relazione di ognuno con sé stesso è la relazione più importante in assoluto e richiede cure e attenzioni continue. Perché noi siamo gli unici responsabili della soddisfazione dei nostri bisogni ed è dunque bene averceli chiari, altrimenti il rischio di pretendere dagli altri aumenta. Infine, perché possiamo donare agli altri solo ciò che ci è stato donato o che ci siamo donati.
Dopo di che, poiché non siamo isole, ma siamo creature interdipendenti in comunicazione e cooperazione reciproca e continua, la vera magia accade quando riusciamo e vogliamo comunicare in questo modo con gli altri, per esser loro d’aiuto. Qualunque sia il modo con il quale le persone si rivolgono a noi, tenere a mente i quattro punti della Comunicazione Nonviolenta, ci permette di essere consapevoli che possiamo scegliere di ascoltare negli altri le quattro informazioni anche quando sono nascoste sotto una coltre di pensieri alienati e sono espresse in un modo tragico, fatto di giudizi moralistici, pretese o doveri. Dando all’altra persona empatia, possiamo cercare di capire quale bisogno si cela dietro al sentimento espresso.
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