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Quando si parla di disturbi di personalità ancora c’è molta confusione e basta accendere la tv per capire che sono ancora troppo sottovalutati e poco compresi rispetto a quelli che possono essere i sintomi o i comportamenti.
In questo articolo cercherò di trattare nello specifico uno di questi ovvero del disturbo di personalità evitante e di come possiamo rapportarci a questo.
Parliamo di una personalità che ha dei tratti specifici che bisogna conoscere per capire fino in fondo cosa significhi avere questo disturbo e cosa fare per poter convivere con chi ce l’ha.
Indice contenuti
Il profilo dell’evitante
Il disturbo evitante di personalità si caratterizza principalmente per la sua convinzione di valere molto poco. La persona, infatti, avverte un grande senso di inadeguatezza sia a livello personale che relazionale e teme le critiche, la disapprovazione e il rifiuto.
Ecco perché spesso tende a isolarsi: per evitare di provare tutto questo.
Parliamo di persone che difficilmente prendono impegni, la sera non escono e hanno pochi amici. Preferiscono chiudersi nel loro mondo pur di evitare di provare emozioni spiacevoli.
Eppure la voglia di avere qualcuno accanto è grande, ma hanno difficoltà a relazionarsi agli altri.
Questo disturbo colpisce uomini e donne indistintamente e la prevalenza del disturbo nella popolazione generale è tra lo 0,5% e l’1,0%.
Emozioni e sentimenti della persona che evita
Nella tarda adolescenza e nella prima età adulta, può succedere però che alcuni sintomi tipici dei disturbi d’ansia sociale si manifestino nell’infanzia precedendo lo sviluppo successivo di una personalità evitante.
Chi ne è colpito ha paura del rifiuto e di essere ridicolizzato: parliamo di persone che credono fermamente di non essere mai abbastanza e di non poter piacere agli altri.Tutto questo provoca ansia in varie situazioni sociali.
Chi ha questo disturbo, inoltre, avverte un senso di non appartenenza. Per capire questo concetto si può far riferimento ad Emily Dickinson, esempio più lampante di tale disturbo. Come afferma il Dottor Laurence Miller nel suo libro “From Difficult to Disturbed”, questa poetessa in modo graduale si allontanò dal mondo circostante per chiudersi nel suo mondo all’interno in una stanza. Tutto questo perché non si sentiva partecipe della società in cui viveva e che le causava solo disagio.
Un evitante per cercare di vivere dei momenti di piacere tenderà a coltivare interessi in solitudine e si dedicherà ad esempio alla musica o alla lettura.
Se c’è una parola che potrebbe sintetizzare quanto detto sinora è l’ipersensibilità: chi ha tale disturbo è infatti poco tollerante ai sentimenti negativi e la sensibilità al fallimento sembra ripercuotersi su tutto quello che fa.
I segnali di un rapporto con un evitante
Come anticipato, chi soffre di un disturbo evitante tende al ritiro sociale, sta fuori dalle relazioni e in virtù di tutto ciò può sperimentare un grande malessere e senso di vuoto.
Queste persone sembrano spettatori e spettatrici della vita altrui e ricorrono spesso all’evitamento perché incapaci di relazionarsi al mondo circostante.
Quando riescono però ad avere una relazione tendono a sottomettersi per paura di perdere la persona.
In generale, i segnali del disturbo, che si manifestano tipicamente attraverso il comportamento, sono:
- l’evitamento per paura di farsi coinvolgere in attività che comportano un contatto interpersonale e/o per paura di essere criticati o rifiutati;
- l’indisponibilità a interagire con gli altri;
- la tendenza a frenarsi nelle relazioni sociali a causa della vergogna e della paura di essere ridicolizzati;
- la preoccupazione eccessiva di essere criticati o rifiutati;
- l’inibizione nelle nuove situazioni sociali a causa del sentimento di inadeguatezza;
- la tendenza a valutarsi inadeguati socialmente, poco attraenti;
- la tendenza a essere riluttanti ad assumere rischi personali o a impegnarsi in nuove attività per imbarazzo.
Come si sviluppa un disturbo evitante?
Non vi sono chiare informazioni riguardo le cause di tale disturbo. Sicuramente, però, alla base potrebbero esserci diversi fattori genetici, psicologici e l’influenza dell’ambiente esterno in cui la persona è cresciuta.
Generalmente il disturbo evitante di personalità si origina da eventi traumatici; la persona può esser stata vittima di abusi fisici, psicologici o aver vissuto storie di rifiuto nella relazione con i propri genitori.
Anche l’aver sperimentato il rifiuto nel rapporto con i pari può essere considerato un fattore di rischio per lo sviluppo del disturbo.
Se un bambino è stato vittima di violenza psicologica e umiliazioni da parte dei coetanei può aver cercato protezione e rifugio nella propria famiglia e sviluppato negli anni dei tratti evitanti.
Chi soffre di questo disturbo appare infatti timido, rigido e i contatti sono limitati a livello familiare.
Come comunicare con un evitante
Comunicare con un evitante è sicuramente complesso proprio perché sperimenta alti livelli di ansia sociale e inadeguatezza.
Questa difficoltà è riscontrabile sia nelle relazioni amorose che amicali.
Un evitante avrà sempre paura di sbilanciarsi troppo proprio perché si aspetta sempre il peggio dagli altri.
Cosa fare quindi per comunicare con un evitante in modo efficace?
Sicuramente bisogna evitare di minimizzare quello che prova e capire in che modo i propri comportamenti possono contribuire a rafforzare le dinamiche già esistenti.
Una persona evitante:
- va accettata così com’è: bisogna riconoscere ciò di cui ha bisogno e darle conferme circa il proprio amore attraverso piccoli gesti;
- non va inseguita: più la si pressa più scapperà via;
- non va presa sul personale rispetto al comportamento che potrebbe manifestare: le distanze che mette riguardano lei e non voi;
- ha bisogno di una comunicazione chiara e trasparente: più che lamentarvi perché si comporta in tal modo chiedete di cosa ha bisogno;
- necessita di coerenza: con una persona evitante bisogna mostrare coerenza, perché si aspetta sempre l’ennesima delusione.
Dunque:
- rispettate le promesse;
- rafforzate i feedback positivi: se fa qualcosa che vi piace, fateglielo sapere;
- quando un evitante vi parla, lo fa per aprirsi e non perché vuole che qualcuno gli risolva i problemi. Ascoltatelo e basta;
- le vostre emozioni e il modo in cui le esprimete può fare la differenza nella relazione con un evitante: se vi mostrate arrabbiati molto probabilmente si chiuderà a riccio.
Ecco che è importante saper calibrare il proprio comportamento in tal senso.
Attenzione, accettare e riconoscere l’altro non significa non riconoscere se stessi: dunque nella relazione con un evitante è bene comunque far sapere all’altro che anche voi vi aspettate di essere rispettati.
In generale, quindi, è necessario impostare degli standard minimi e andare incontro anche alle proprie esigenze.
Consigli per lo psicologo: come intervenire in seduta
Spesso un evitante in virtù di tutto questo chiede aiuto e un supporto psicologico per poter andare avanti e stare meglio.
L’obiettivo di un percorso con questo tipo di personalità potrebbe essere quello di supportare in modo empatico i loro bisogni, tenendo conto dell’imbarazzo e del senso di umiliazione che li pervade. Questo affinché la persona riesca ad esporsi gradualmente verso ciò che teme e ad incrementare le proprie abilità sociali.
In tal senso sembrano essere molto utili i training assertivi per lavorare sulla propria autostima e per imparare ad affrontare la vita con meno timori, ma soprattutto a riconoscere le proprie emozioni con più consapevolezza.
Anche una terapia di gruppo potrebbe essere efficace per lavorare sulla relazione con gli altri, ma sicuramente è opportuno iniziare con un trattamento individuale, perché l’ansia che si sperimenta nelle prime sedute è molto elevata e bisogna tenerne conto. Si interviene sulla sensazione di non riuscire a sentirsi parte di un gruppo. Si percepisce un distacco dagli altri che peggiora nel momento in cui si ha difficoltà nel riconoscere le proprie emozioni.
Alla base sembra esserci dunque una difficoltà nell’identificare i propri stati interni.
Si lavora su questi aspetti e sul cercare di aumentare la capacità di collegare i propri pensieri e le emozioni che si provano di fronte a ciò che avviene esternamente.
Lo psicologo, nel trattare tale personalità, deve essere consapevole del fatto che tendono spesso a interpretare le intenzioni altrui secondo un loro punto di vista che è molto poco funzionale.
Ecco che è importante creare prima di tutto un rapporto paziente-terapeuta che risulti non giudicante e accogliente.
Dunque lo psicologo sicuramente deve aiutare il paziente a identificare le sue emozioni, a raccontarsi e a raccontare le proprie esperienze di vita per collegarle alla sua esperienza soggettiva e ricostruire un nuovo modo di interpretare quello che si è vissuto e quello che si vive.
Tutto questo aiuterà il paziente a essere sempre più consapevole della sua sofferenza e della sua origine.
In questo scenario è importante, però, primariamente favorire momenti di condivisione tra paziente e terapeuta al fine di ridurre il rischio che il terapeuta venga percepito come critico.
In questo percorso, quindi, è fondamentale il rapporto che si costruisce tra paziente e psicologo poiché la reticenza che si ha nei confronti altrui la si può superare grazie al confronto con il proprio terapeuta con il quale l’evitante potrà stabilire un’alleanza basata sulla fiducia.
In tal senso il professionista potrà essere d’aiuto al paziente nell’aiutarlo a non temere gli altri, il loro giudizio e a migliorare la sua autostima.
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