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13 Novembre 2015L’istituto dell’amministratore di sostegno è stato introdotto grazie alla legge n° 6 del 9 gennaio 2004.
Si tratta di un nuovo strumento, maggiormente flessibile e più rispettoso della dignità del beneficiario, che si va ad affiancare a quello dell’interdizione e dell’inabilitazione con l’intento di assicurare all’amministrato “la minore limitazione possibile della capacità d’agire”.
Indice contenuti
In quali casi interviene l’amministratore di sostegno
Andando più nello specifico a dettagliare di che cosa si occupa l’amministratore di sostegno, possiamo far riferimento al testo di legge che recita: “la persona che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal Giudice Tutelare”.
I casi in cui l’amministratore di sostegno può essere d’aiuto sono molteplici così come ci suggerisce Pazè:
- soggetti semplici che non sanno gestire il proprio denaro rischiando di rimanere invischiati in qualche truffa;
- persone socialmente isolate;
- malati psichici che necessitano di aiuto per gestire le cure della propria persona;
- persone con disturbi di personalità;
- soggetti tossicodipendenti e alcolizzati;
- anziani che hanno un’autonomia limitata a causa di condizioni fisiche e psichiche.
La scelta e i compiti dell’amministratore di sostegno
La scelta dell’amministratore di sostegno spetta al Giudice Tutelare che tende a nominarlo, nei casi in cui ciò sia possibile, fra la cerchia dei famigliari in seguito ad una precisa richiesta che può essere presentata dal beneficiario stesso o dalla propria famiglia.
I compiti che spettano all’amministratore sono vari e “sono tagliati su misura” rispetto al caso specifico, dal momento che l’idea che sta alla base di questa istituzione è quella di lasciare la maggiore autonomia possibile al beneficiario. Proprio per questo motivo il suo incarico può essere temporaneo e subire delle variazioni per quello che riguarda i propri compiti in base ad un cambiamento delle condizioni del beneficiario.
Tendenzialmente i compiti che spettano all’amministratore possono essere divisi in due grandi gruppi: uno di gestione del patrimonio, l’altro di cura del beneficiario cioè degli atti necessari a soddisfare i bisogni non patrimoniali del soggetto in carico. Questi ultimi atti possono essere compiuti sostituendosi totalmente al beneficiario oppure possono essere compiuti assieme.
L’amministratore di sostegno svolge il suo ruolo a titolo gratuito, solo in rari casi e comunque esclusivamente quando non è un membro della famiglia, può ricevere un rimborso spese per il lavoro svolto.
Il ruolo dello psicologo
Sebbene il ruolo dell’amministratore venga ricoperto, quando non sono i famigliari a farlo, da avvocati o da associazioni no profit, il ruolo dello psicologo trova comunque ampio spazio all’interno di questo istituto sia in maniera più diretta quando è chiamato dal Giudice Tutelare a fornire una valutazione per verificare la necessità o meno di questo istituto e su quali ambiti si ritiene necessario applicarlo, ma anche in maniera più indiretta offrendo un sostegno psicologico ai beneficiari dell’istituto al fine di accettare questa nuova condizione che può essere vissuta con sofferenza.
Ancora lo psicologo, in un’ottica di maggior benessere della persona coinvolta, può arrivare ad una conoscenza o ridefinizione dei bisogni di questa al fine di migliorarne la qualità della vita e per porre nuovi obiettivi in funzione dei quali reindirizzare un nuovo progetto di vita.
Ma lo psicologo può trovarsi anche a mediare eventuali conflitti che nascono, soprattutto in presenza di ingenti patrimoni, fra gli attori coinvolti a vario titolo: il beneficiario, i famigliari e l’amministratore di sostegno.
Con la collaborazione della dott.ssa Chiara Cicchese e del dott. Lorenzo Lombardi.
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