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20 Luglio 2012Enuresi notturna
L’enuresi notturna è un disturbo che consiste nell’emissione involontaria di urina durante il sonno, in bambini di età superiore ai cinque-sei anni, in assenza di lesioni dell’apparato urinario. E’ un fenomeno abbastanza frequente, in quanto coinvolge circa il 10-15% dei bambini di sei anni di età, ma solitamente tende a risolversi spontaneamente. Ne esistono diverse forme e nei casi più difficili è possibile intervenire, oltre che con trattamenti farmacologici e comportamentali precisi e mirati, attraverso piccole accortezze e strategie che possono essere messe in atto dai genitori.
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“Pipì a letto” in varie forme
Possiamo distinguere diverse forme di enuresi. Una prima distinzione può essere tra forma primaria e secondaria: nel primo caso, il bambino non ha mai acquisito il controllo della vescica, mentre nell’enuresi secondaria, nonostante siano trascorsi almeno sei mesi dal momento in cui il bambino ha sviluppato il controllo della pipì, egli riprende a bagnare il letto; esiste poi una forma sintomatica, come conseguenza di una malattia, ad esempio di un’infezione urinaria.
Un’altra distinzione è tra enuresi notturna, in cui il bambino ha difficoltà a controllare la vescica durante la notte, ed enuresi diurna, dove la perdita di urina avviene durante il giorno. La prima forma si manifesta principalmente durante la prima fase della notte, mentre solo occasionalmente l’emissione di urina avviene durante la fase REM del sonno, con la possibilità che il bambino ricordi un sogno che comporta l’atto di fare la pipì. La forma diurna, invece, coinvolge maggiormente il genere femminile, solitamente in età inferiore ai nove anni: il bambino, ad esempio, può aspettare troppo tempo per andare in bagno, assumere una posizione per trattenerla (il bambino, spesso, si accovaccia e stringe le gambe), andare a fare la pipì raramente o, al contrario, molto frequentemente, oppure urinarsi addosso.
Possibili cause dell’enuresi notturna nei bambini
Alla base del disturbo, soprattutto nella forma secondaria, spesso c’è una componente emotiva: il bambino regredisce nell’evoluzione del suo sviluppo, tornando a fare la pipì a letto come quando era più piccolo. Vi sono alcuni fattori che possono influenzare l’insorgenza di questo fenomeno: tra i casi più diffusi abbiamo la nascita di un fratellino o di una sorellina, l’ingresso a scuola o un cambiamento improvviso nella quotidianità del bambino, come un trasloco, la separazione dei genitori o un’ospedalizzazione prolungata. Si tratta prevalentemente di eventi che stravolgono la vita del bambino, minando le sue certezze e i suoi punti fermi, influenzando il ritmo e lo stile della vita familiare: ciò ha inevitabili ripercussioni sul bisogno di sicurezza, di attenzione e di dipendenza del minore.
La diagnosi e le conseguenze dell’enuresi notturna
Per essere diagnosticato secondo i criteri del DSM IV, il disturbo deve manifestarsi almeno due volte a settimana per almeno tre mesi consecutivi, e determinare una compromissione significativa dell’area sociale e scolastica del bambino.
E’ frequente, infatti, che i bambini tendano a vergognarsi del disturbo e, di conseguenza, evitano tutte quelle situazioni che possono metterlo in imbarazzo, come la partecipazione a gite scolastiche, campeggi o soggiorni da amici e parenti. Questo, ovviamente, comporta un ritiro dalla vita sociale con conseguente deterioramento della vita relazionale del bambino.
Consigli per intervenire sull’enuresi notturna
Diventano fondamentali, dunque, le persone che circondano il bambino e il loro modo di vivere questo disturbo: esse influiscono sul suo livello di autostima e sul suo sentirsi più o meno adeguato.
Un comportamento punitivo da parte di chi si prende cura del bambino, ad esempio, riduce ulteriormente la stima che il bambino ha di stesso, mortificandolo e rendendolo insicuro, con il rischio di cronicizzare il problema.
Il disturbo può essere affrontato sia in termini farmacologici che comportamentali, in base alle indicazioni del medico. È opportuno accompagnare queste metodologie con un intervento psicologico di tipo psicoeducativo, con l’obiettivo di individuare, in base al contesto in cui il bambino vive, le indicazioni per evitare che determinati atteggiamenti possano aggravare la situazione aumentandone l’imbarazzo e il senso di colpa.
Se il medico prescrive una terapia farmacologica, spesso si fa ricorso alla desmopressina o a farmaci anticolinergici che aumentano la capacità di contenere l’urina nella vescica.
Possono essere utilizzate, inoltre, anche delle tecniche comportamentali che permettono un apprendimento graduale della continenza notturna. Uno dei più diffusi è il sistema di allarme: il bambino, prima di addormentarsi, è collegato a un piccolo apparecchio che, appena inizia l’emissione di urina, attiva una suoneria in grado di svegliarlo per permettergli di completare la pipì in bagno. In generale, vi sono delle strategie che si possono utilizzare quando il proprio bimbo soffre di enuresi notturna: occorre evitare che i bambini bevano troppi liquidi dopo cena ed è importante che vengano accompagnati a fare la pipì appena prima di andare a letto. È buona prassi anche spiegare al bambino quello che sta succedendo, in base al suo livello di sviluppo, magari con l’ausilio di disegni o filmati. Può essere utile spiegare al proprio bambino alcune strategie per allenare la vescica a contenere e controllare una quantità superiore di urina: si può insegnare al bambino a interrompere il getto una volta iniziato o a riempire sempre più la vescica prima di correre a vuotarla. È importante anche abituarlo a gestire il suo bisogno contando fino a 10 prima di iniziare a urinare; questo lo aiuta a prendere coscienza della propria capacità di controllare lo stimolo.
Rispetto la possibilità di svegliare il bambino per portarlo a fare la pipì vi sono, invece, pareri contrastanti: per evitare uno stato di insofferenza o irritazione è più opportuno usare dei pannolini a mutandina per evitare che il bambino si sporchi. Infine, e questo è davvero molto importante, occorre evitare di punire e sgridare il bambino, ma gratificarlo per ogni piccolo risultato che riesce a raggiungere. Questo disturbo, come già spiegato precedentemente, spesso è sintomo di un periodo di malessere e disagio: stare vicino ai propri bambini, magari con un supporto di un professionista, può essere sicuramente un ottimo punto di partenza per riuscire a superare un momento di difficoltà.
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