Consulenza psicologica in farmacia
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21 Settembre 2011Quando il pensiero blocca i rapporti
Sergio ha paura di relazionarsi agli altri perchè teme il loro giudizio. In particolare il suo problema si presenta quando deve parlare con una donna, si sente inferiore ed è ormai certo che nel momento in cui proverà ad approcciarsi, farà una brutta figura. Ha provato diverse volte a utilizzare strategie per superare la sua paura e alla fine il risultato è stato sempre lo stesso: il fallimento. Ora si ritrova a 34 anni senza avere mai avuto una relazione e non passa giorno in cui pensa di voler essere in grado di rapportarsi come i suoi coetanei, ma non ci riesce, è più forte di lui, la paura di non sapere cosa dire o di rispondere nel modo sbagliato, lo ha portato a rinchiudersi in se stesso e a limitare del tutto i suoi rapporti sociali.
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Ma come si arriva a questo?
Fin da piccoli ci hanno educato a “pensare prima di parlare”, per evitare brutte figure o per evitare di dire cose che non avremmo voluto dire. Questa forma di controllo funziona, fino a quando non si arriva a generare l’opposto, ovvero un processo rigido (…che cosa dico ora? …che cosa devo fare?…dico questo o quest’altro?) che rischia di generare a sua volta una forma di fobia sociale, dove il rapporto con gli altri finisce per creare una forte ansia. Ecco così che ciò che inizialmente era fatto con le migliori intenzioni, finisce per rivoltarsi contro, generando gli effetti peggiori e trasformando il rapporto con gli altri in un vero e proprio problema. Un problema perchè non si sa più qual è il modo di entrare in relazione. E’ così che si comincia ad osservare il comportamento degli altri o ad immaginare un modello ideale di persona a cui ispirarsi, per trovare la modalità di azione più congeniale in quella determinata situazione.
Ma cosa si ottiene in questi casi?
Che la persona si blocca nel groviglio dei propri pensieri o agisce cercando di essere spontanea, finendo però per risultare goffa e costruita. Si genera così un circolo vizioso, in cui ci si mette alla prova più e più volte confermando a se stessi di essere incapaci di relazionarsi agli altri come si vorrebbe, fino al punto di evitare tutti quei luoghi o situazioni sociali che generano ansia e che finiscono col trasformarsi in qualcosa di minaccioso. Si sviluppa quindi anche un pensiero paranoico nei confronti degli altri, che potrebbero accorgersi del suo problema e dai quali bisogna nascondersi. Come è possibile immaginare, ciò nella maggior parte dei casi genera uno stato depressivo, in cui ci si rassegna all’idea di non essere all’altezza del confronto e di non sapersi relazionare. Reiterate nel tempo, queste azioni tramutano, come sosteneva Watzlawick, una realtà inventata in una realtà concreta, non permettendo così una vita serena nel rapporto con gli altri.
Cosa fare in questi casi?
Sicuramente è importante riflettere su fatto che ogni qual volta si pensa a come agire si crea un effetto paradossale che ha come conseguenza il blocco di ciò che appunto dovrebbe essere spontaneo (la relazione). Se provassimo a scendere le scale di corsa pensando a come mettiamo prima un piede e poi un altro, finiremo per inciampare. La stessa cosa avviene nelle relazioni. Provare quindi a bloccare le risposte a quei “pensieri inutili” volte a trovare l’atteggiamento “giusto” da tenere e che non fanno altro che creare enormi dubbi, rappresenta il primo passo “utile” per affrontare l’ansia generata da questa lotta estenuante con se stessi.
Provare ancora ad anticipare le cose peggiori che potrebbero accadere entrando in relazione, potrebbe poi essere un passo successivo per crearsi meno aspettative nei confronti degli eventi.
In questo uno psicoterapeuta può aiutare nell’accompagnare chi soffre questo tipo di paura nella direzione dello sblocco, aiutando a sperimentare un modo diverso di “sentire” l’interazione con l’altro e permettendo di entrare in relazione, finalmente, in modo spontaneo.
Di seguito un breve cortometraggio dal titolo: “Il disturbo ossessivo compulsivo: uscire dalla trappola – Da un punto…all’altro” che descrive alcuni tipi di rituali che spesso caratterizzano il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) e l’aiuto che può fornire lo psicologo psicoterapeuta nel trattamento di questo problema che crea a volte un grande disagio.
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